domenica 10 luglio 2022

Specchi nel labirinto - I

Io sono il caos. Essere multiforme o senza forma, fate voi. Il mio tempo è quello del deserto, delle tenebre, dell’abisso. Non possiedo un tempo. Vivo l’eterno ritorno della fame e della sazietà. Sono il sovrano di un regno da cui mi è impossibile uscire. Gli intricati corridoi che si innervano gli uni con gli altri oltre le pareti di questa mia stanza desolata, sono come le radici di un grande albero che serrano la terra e la nutrono. Ma è il mio corpo di mostro, mezzo umano e mezzo animale la mia vera prigione. Chi mi trascinò qui, stese sulle pareti ampi specchi così che guardandomi, non dimenticassi mai chi sono. 
Ma, nonostante lo sguardo smarrito delle mie vittime e il loro ribrezzo di fronte alla mia immagine riflessa mi abbia insegnato cosa gli uomini intendano per male, non provo nessuna pietà. Né per me, né per loro. Lo specchio mi regala anzi una folla di amici che danzando fanno tutti insieme baldoria. Guarda come muovono i piedi agili, e che splendido attrezzo si erge tra le loro gambe. Che forza si sprigiona dai muscoli e dalle corna pronte alla carica. I nostri occhi sono grandi e bui. Lasciano intravedere l’abisso di cui è fatta la nostra sostanza. Ballate, amici miei, facciamo festa e beffiamoci dei pensosi uomini, delle loro convinzioni, della loro mestizia. Nascondono ciò che ritengono orribile. Poveri sciocchi, gongolanti nelle loro illusioni! Noi siamo qui, vivi e vegeti, semplicemente ingovernabili.
E semmai qualcuno si chiedesse se un essere abietto, quale io sono, possa provare qualche misero barlume di felicità, risponderò che sì, anche io sono in grado di essere felice. Come si può non essere felici, quando si è se stessi? Dunque, direi che sono felicissimo.
Ma ora, a forza di saltellare mi è venuta fame. Avete fame, amici miei? 
Sazio la mia fame con la carne tenera degli sfortunati costretti a inoltrarsi fra i corridoi intricati di questa mia dimora. Quando la forza del caos li risucchia verso il centro, io rimango immobile come una statua e li osservo seduto dal mio trono di pietra, godendomi lo spettacolo. Posso scrutarli con i miei occhi taurini attraverso l’oscurità, mentre strisciano lungo la parete di questo centro, come ciechi a cui sia stato strappato il bastone. Le mani sudate toccano i muri senza trovare appigli, indizi di speranza, una via di fuga. Percepisco, allora, l’odore pungente della paura e mi viene l’acquolina in bocca.
Ma caspita! Questo mio piacevole gozzovigliare è stato interrotto da un omuncolo che si crede un eroe. Mi faccio una bella e grassa risata. Dove mi ero interrotto? Ah, sì, a quando fa il suo proclama:
“Padre, andrò io e metterò fine al dolore!”
“Teseo, è con un mostro abominevole e vorace che dovrai confrontarti. Che gli dèi possano guidare la tua mano ed essere favorevoli a questa impresa disperata”.
Gli dèi! Ehi? Mi sentite, padre e figlio? La bontà degli dèi è un’altra delle vostre illusioni e vi coprite gli occhi di fronte al loro più orribile aspetto. Quando poi non potete liberarvi di quella immagine spaventosa, la nascondete nei recessi più bui. Proprio come avete fatto con me.
Non sono forse anche io un dio? Non destinate anche a me le primizie delle vostre case? Carne tenera e succosa, impregnata di quella paura che rende saporito il sangue. Affondo la mascella nei corpi ancora vivi e un'ebbrezza mi invade. Il piacere sublime della fame quando è soddisfatta si propaga in ogni fibra del mio corpo. 
[…]