mercoledì 29 aprile 2020

Il Web e il labirinto

Forse quest'anno in modo particolare per la condizione di isolamento in cui ci troviamo, vale ricordare che il 30 aprile del 1986 Internet fece il suo ingresso in Italia. Qualche anno dopo, il World Wide Web entrò nelle nostre case e da quel momento la parola connessione divenne più che mai familiare e dominante nella vita di ognuno.
In un battito d'ali posso trovarmi virtualmente nell'altro capo del mondo, con l'opportunità inestimabile di stabilire un contatto con chi altrimenti non avrei mai conosciuto. Nel silenzio di un'abitazione posso aprire molteplici porte e lasciare che suoni diversi inondino lo spazio. Posso intraprendere qualsiasi direzione, avanzando attraverso i link con svolte o rotatorie. Sono le quasi infinite possibilità di movimento che mi incuriosirono e mi affascinarono la prima volta che sentii parlare di questa straordinaria ragnatela globale su cui saltare da un filo all'altro senza paura di cadere.
Tuttavia, non posso ignorare la contiguità fra la "rete" e il labirinto. Inoltrandosi in questo luogo apparentemente senza confini, con il tempo si ha la sensazione però di ripercorrere sempre gli stessi sentieri, in un gioco di specchi che disorienta. Qual è allora il filo che impedirà al ragno posto al centro delle "ragnatela" - sempre che un centro esista - di divorare il mio senso critico? Credo sia l'esercizio della scelta, il girovagare cioè srotolando un'idea o un'immagine che si siano affacciate alla coscienza. Non cliccare sul tutto, leggere tutto, ascoltare chiunque, acquistare qualsiasi oggetto che improvvisamente mi viene proposto, credere a ogni notizia pubblicata, ma scegliere cosa cliccare, cosa leggere, cosa ascoltare, cosa acquistare, la notizia in cui credere. Scegliere per districare la matassa altrimenti ingarbugliata delle connessioni.

sabato 25 aprile 2020

Il deserto e il labirinto

Qualche giorno fa ascoltavo un noto giornalista che si scagliava contro un noto politico e ironizzava sul ricorso frequente di quest'ultimo a quello che ha definito "elenco della spesa". Pare non gradisse lo stile elencazione. Non so perché di tutto il suo ragionamento - che per altro condividevo - questa parentesi beffarda si sia depositata nella mia testa per diversi giorni, fino a sentire il bisogno di richiamarla in un post.
Lo stile elencazione ha una sua precisa funzione: quella di fare breccia in un muro con un susseguirsi costante e ritmico di colpi, fin quando non si riesca a guardarvi attraverso. Non è da bistrattare - rispondo al mio giornalista scanzonato - se oltre il muro esiste un'idea.
Vengo così all'argomento di questo post, ricorrendo all'uso sfacciato del Dizionario dei sinonimi e dei contrari che, insieme a quello Etimologico, sono i libri che forse più mi affascinano e che ricorrono allo stile elencazione. Le parole somigliano ai colori di una tavolozza, definiscono un concetto e gli conferiscono una particolare sfumatura, andando dai toni più chiari a quelli più scuri. Prendiamo, per esempio, le parole deserto e labirinto.
Deserto. L'etimologia rimanda al latino desertum, abbandonato, solitario; dall'unione del prefisso "de-" privativo, e il participio passato di "serere" nel significato di seminare. Si tratta quindi di un luogo senza vita, disabitato, vuoto, incolto, desolato, selvaggio, arido. Nel significato più esteso e che richiama le sensazioni a esso associate troviamo: mortorio, desolazione, solitudine.
Labirinto. In questo caso il significato originario è duplice. Il greco "labyrinthos" è il nome del palazzo di Minosse a Creta, ma è anche il palazzo della bipenne, simbolo del potere regale minoico: luogo ("-inthos") dell'ascia ("labrys"). Tra i sinonimi: dedalo (dal suo costruttore), intrico di vie, di passaggi, groviglio, meandro, luogo sinuoso, rete, ginepraio, imbroglio, garbuglio.
Cosa è comune a entrambi?
In un racconto di Jeorge Luis Borges, I due re e i due labirinti, il labirinto e il deserto sono espressione del potere, l'uno del re di Babilonia, l'altro del re di Arabia. Sono luoghi della perdita e dell'abbandono.
Altrove, nel mito di Teseo e nei racconti biblici, sono invece spazi di trasformazione.

mercoledì 22 aprile 2020

Il cercatore di idee

Mi capita spesso di pensare a cosa rimarrà fra qualche secolo di questo nostro mondo virtuale, dei nostri post, dei nostri video, dell'intera rete di condivisione. Allora gli uomini del futuro guarderanno al periodo storico che stiamo vivendo in un punto nel tempo abbastanza distante da osservare le cose con il giusto distacco. Oppure, immagino che civiltà aliene, intercettando i flussi di dati che viaggiano sul web, si sforzino di ricostruire la nostra civiltà e di elaborare un'ipotesi su chi siamo.
Quando scrivo questo blog, penso sempre naturalmente ai possibili lettori. Il lettore potenziale è il destinatario dei pensieri costellati nei post. Ma egli veste anche gli abiti del giudice, che severamente clicca, severamente scorre le parole, severamente emette il suo verdetto. Se scrivo su un blog pubblico, è evidente che sono interessata al numero di utenti connessi, alle pagine visitate, al tempo di permanenza sui singoli contenuti. Pian piano, però, dal progetto di un book-blog sperimentale quale vorrebbe essere il mio, mi accorgo che l'attenzione si sposta sulle statistiche, sulle medie, sulla necessità di accumulare visitatori. Appunto visitatori, non lettori.
Questo mio blog è rimasto per molti mesi completamente muto, fino a quando senza retropensieri ho deciso di scrivere il diario di una semi quarantena. Quale era il mio lettore immaginario? Forse proprio un alieno, inteso come colui che viene da un altro mondo. L'altro mondo non è necessariamente un pianeta diverso dalla terra, ma il sistema di pensieri immagini emozioni specifico di quel preciso e unico lettore, che curiosamente si affaccia in un contenitore per frugarvi e pescare idee, non per essere tranquillizzato o coccolato o convinto o fidelizzato o sedotto. E' il lettore che aiuta la scrittura a svolgersi e insieme compie il suo destino di cercatore.
Caro lettore, chiunque tu sia, che tu stia leggendo dal futuro, da un'altra galassia, da una scrivania in qualche parte del globo al tempo del Covid-19, questo blog è un esperimento, che consiste nell'affiancare parole, immagini, simboli e nell'osservare cosa accade, quale impressione ed effetto - che non sia un dato statistico - si produce. E' il laboratorio alchemico di un apprendista. Non ci sono definizioni né formule magiche; nulla che abbia la minima parvenza di verità definitiva. Troverai percorsi possibili, mappe ipotetiche di città invisibili, labirinti la cui via di uscita non è detto che esista, deserti nei quali sperimentare la solitudine. E' solo e niente più di un blog.

sabato 18 aprile 2020

Quarantesimo giorno

QUARANTA

"Questa lettera [la lettera ebraica Mem n.d.r.] evoca l'idea di una matrice e rappresenta il grembo della donna che possiede la capacità naturale di dare la vita. Mem rappresenta anche il ripiegamento verso l'interno per trasformarsi, la forza centripeta [...]. E' il principio riformatore della vita attraverso trasformazioni successive che genera un movimento vitale perpetuo"


"[...] Il suo  valore numerico 40 compare sistematicamente nella Bibbia per specificare un isolamento e una trasformazione (la traversata del deserto). Questo valore indica il tempo necessario per compiere un processo di maturazione che porta a fruttificare tramite la purificazione. [...] Una durata temporale espressa dal numero 40 corrisponde a un periodo di mutazione e di trasformazione per accedere a un cambiamento radicale"
(G. Lahy, L'alfabeto ebraico, Venexia, 2008)

"E' il numero dell'attesa, della preparazione, della prova o del castigo. [...] Si può dire che gli scrittori biblici descrivano la storia della salvezza dotando di questo numero gli avvenimenti maggiori"
(J. Chevalier, AGheerbrant, Dizionario dei simboli, Bur, 2018)

"Il quaranta, antico numero della preparazione, occupa un ruolo rilevante nella mistica islamica: il periodo di quaranta giorni è particolarmente importante per il sufismo, in quanto una clausura di quaranta giorni, grazie a una costante meditazione, porta più vicini a Dio"
(F. C. Endres, A. Schimmel, Dizionario numeri, edizioni red!, 2006)

ESAGRAMMA 40. Hsieh - La Liberazione

LA SENTENZA
La liberazione. Propizio è il Sud-Ovest.
Quando non vi è più luogo ove doversi recare,
il ritorno è salutare.
Se vi è ancora un luogo dove si debba andare,
allora è salutare la rapidità.

L'IMMAGINE
Tuono e pioggia arrivano:
l'immagine della liberazione.
Così il nobile perdona gli errori e rimette le colpe.
(I Ching, a cura di R. Wilhelm, Adelphi, 2012)




giovedì 16 aprile 2020

Trentottesimo giorno

La generazione del deserto abbandonò l'Egitto e si liberò dalla schiavitù per raggiungere la terra promessa...
La chiamata. Per gli ebrei arrivò il momento di andare via dal paese che inizialmente li aveva accolti e protetti, ma che poi li aveva resi schiavi. Gli ebrei erano chiamati a nascere di nuovo e Mosè, chiamato anche lui, sarebbe stato il loro condottiero. La fuga è il parto, e il travaglio sono le piaghe inflitte agli egiziani, è il dolore che prepara la gioia.
Ma gli ebrei non sono i buoni e gli egiziani i cattivi, anche se tutto lascia intendere questo. Il mito perde valore e vitalità se nel leggerlo ci si aggrappa alle consuete categorie morali. Il mito, come i grandi sogni, esprime simbolicamente un'unità verso cui tendere attraverso un'iniziale frammentarietà. Egiziani ed ebrei, Mosè e il Faraone, sono aspetti, funzioni, tendenze di uno stesso soggetto: l'Eroe, o chi diventerà tale strada facendo.
Il futuro Eroe, è chiamato a liberarsi dell'ego, della presunzione di essere Dio. Scopre, piaga dopo piaga, che non può più controllare e disporre della terra, dei suoi simili, della natura che anzi gli si rivolta contro. Apprende che le ricchezze non sono sufficienti a donargli la sicurezza. A nulla valgono i rimedi noti, perché ogni certezza sembra sprofondare infine nelle tenebre. Le tenebre sono la penultima piaga, fitte e pesanti; preludio al culmine dell'angoscia. Più sarà ostinato nel rifiutare l'appello, maggiore sarà l'incubo che lo inseguirà. Il confronto con la morte nell'ultima piaga lo convincerà che non può vincere con il destino di liberazione che lo attende. Ebbene, si abbandoni pure la forza, il potere, la grandezza e si inizi il viaggio folle del rinnovamento! Allora l'Eroe fugge incontro al futuro. Ma l'incertezza del procedere lo costringe a guardarsi indietro. Il suo passato lo insegue e solo un miracolo può aiutarlo, solo cioè la fiducia nell'impossibile gli consentirà di attraversare il mare senza esserne travolto. In quel passaggio, nell'avanzare verso la nascita abbandona il passato, risucchiato invece dalle acque. Però, il suo viaggio non è ancora compiuto, perché di fronte a sé trova il deserto.

mercoledì 15 aprile 2020

Trentasettesimo giorno

Scrive Joseph Campbell nel suo libro L'eroe dai mille volti:
"Né sarebbe esagerato affermare che le inesauribili energie del cosmo si manifestano nella cultura umana proprio attraverso il mito. Le religioni, le filosofie, le arti, le forme sociali dell'uomo primitivo e storico, le scoperte scientifiche e tecniche, gli stessi sogni che popolano il sonno, scaturiscono indistintamente dalla fonte magica del mito. [...] i simboli della mitologia non si fabbricano, non si possono inventare, controllare, o abolire per sempre: sono produzioni spontanee della psiche e ciascuno ne conserva intatto il potere germinativo. Qual è il segreto di queste immagini eterne? Da quali abissi della mente umana scaturiscono? Perché le mitologie sono ovunque le stesse, anche se rivestite di forme diverse? E che cosa ci insegnano? [...] La mitologia e il rito hanno sempre avuto la fondamentale funzione di fornire i simboli che aiutano il progresso dello spirito umano, da contrapporre a quelle altre immagini costanti che tendono ad arrestarlo. [...] Solo la nascita può vincere la morte - la nascita di qualcosa di nuovo. Per poter sopravvivere, deve verificarsi nell'anima, nel corpo sociale, una nascita continua (palingenesi) che annulli l'incessante opera della morte. Senza questa costante rigenerazione, le nostre vittorie non saranno che strumenti della Nemesi: la nostra virtù reca in seno la nostra condanna" (ed. Lindau, 2012, dal "Prologo").
Raccontare "di nuovo" il mito, e il rito in esso custodito, significa liberare energie primordiali. Significa scegliere, invece delle immagini statiche di un mondo preconfezionato per essere consumato e poi gettato via, l'immagine della vita che si ricrea.

martedì 14 aprile 2020

Trentaseiesimo giorno

La generazione del deserto abbandonò l'Egitto e si liberò dalla schiavitù per raggiungere la terra promessa...
E' interessante il fenomeno secondo cui il testo biblico, a differenza di altri libri dell'antichità, conserva per molti un valore letterale che, se da un lato potrebbe indicare una fede incrollabile, dall'altro ne limita fortemente l'effetto, in particolare in contesti laici. Le vicende bibliche rimanendo vincolate alla storia, garante della verità, difficilmente sono accettabili da chi non è direttamente coinvolto. Gli ebrei, o i cristiani che generalmente considerano quei fatti come realmente accaduti in quanto prodromici dell'era inaugurata da Gesù, sono portavoce di un passato in grado di configurare una loro precisa identità. In questo modo, il resto dell'umanità ne risulta esclusa, a meno di una conversione. Tuttavia, quelle stesse narrazioni se caricate, non di realismo, ma della forza che scaturisce dal mito, possono davvero parlare un linguaggio universale che travalica i confini delle nazioni, dei popoli,  delle professioni di fede e delle tradizioni. Il grande limite delle confessioni religiose è forse proprio la continua tensione verso la definizione di sé, la circoscrizione di precisi confini e perciò la caduta nel paradosso: la divinità per sua natura senza principio né fine, non contenibile in una forma, è simile in modo imbarazzante ai suoi stessi fedeli.
Se, invece, si sospende il giudizio storico - "è accaduto e perché", o "non è accaduto" - e si leggono quegli eventi come mitologici, ecco che i muri crollano e i significati si espandono a beneficio non dell'identità, ma dell'individuazione. L'identità, in fondo, è un compromesso perché implica l'appartenenza a un genere o a un gruppo. L'individuazione è invece un ampliamento della coscienza, un superamento delle definizioni. 
Il mito non nega la storia, ma anzi la eleva a simbolo. Perché la storia, sia personale che collettiva, non sempre è maestra di vita? Fra quattromila anni, come verrà interpretato il momento che stiamo vivendo dall'umanità o da qualche altra forma di vita intelligente che avrà preso il suo posto? Oppure, a cosa può servire la storia dell'antichità oltre a farci stupire - nella migliore delle ipotesi - e ad affollare le teche dei musei? Il tempo è come un diluente, che man mano riduce la concentrazione di partecipazione razionale ed emotiva ai fatti: più mi allontano, più dimentico. Il rito ha la funzione di rinnovare la memoria, ma l'abitudine alla ripetizione è l'altro inganno da cui guardarsi.
Come se ne esce?
Attraverso il racconto reiterato del mito. Raccontando "di nuovo" si salva il simbolo, e con esso anche la storia.

domenica 12 aprile 2020

Trentaquattresimo giorno

Questa non è stata per me una Pasqua come le altre, passate tutto sommato inosservate dal momento che non sono religiosa nel senso comune che si dà a questa parola.
Più volte nel corso della giornata ho pensato alla "generazione del deserto"; quella generazione di ebrei che riuscirono a fuggire dall'Egitto, dopo aver atteso di notte il "passaggio dell'angelo", per il quale gli egiziani persero i loro figli. Il "passaggio dell'angelo" divenne così la Pasqua ebraica, il tempo della liberazione dalla schiavitù.
Se si sottrae all'evento la peculiare connotazione storica, rimane un simbolo, e come tale valido per l'intera umanità. Gli ebrei diventano una collettività alla ricerca dell'identità più profonda. Il primo passo è liberarsi dalla hybris, e poi prendere coscienza di portare in sé l'umano e il divino insieme.


sabato 11 aprile 2020

Trentatreesimo giorno

La porta si apre in una biblioteca. Due poltrone al centro, una di fronte all'altra. Lungo le pareti svettano scaffali colmi di libri: in piedi, sdraiati, liberamente disposti; qualcuno ha imposto loro un ordine casuale. Oltre le poltrone c'è il lago. L'ampia finestra lascia penetrare luce e colori rassicuranti. Zurigo è immersa nell'ameno procedere di barchette che scivolano sull'acqua, inconsapevoli del dramma dell'uomo quando si confronta con Dio.
Seduti sulle poltrone sono il dottor Jung e Giobbe. Giobbe è spaventato: ha scorto la doppia natura di Dio. Ha sentito le sue ossa frantumarsi sotto i colpi spietati di quella natura, e ha gridato al cielo in attesa dell'aiuto di Dio contro Dio. Ma ora vuole capire. Il male non è assenza di bene - suggerisce Jung, che si è inoltrato negli abissi della psiche facendosi largo tra le ombre - ma entrambi abitano la stessa casa.
Il dottore osserva Giobbe, mentre il fumo della sua pipa si mescola allo spirito dei tempi e si chiede come l'uomo dei nostri giorni, allevato ed educato cristianamente, reagisce alle oscurità divine che gli si palesano nel tuo libro, Giobbe? E nella vita.
Il poveretto, preme con tutto il peso del corpo sullo schienale della poltrona, chiude gli occhi e si abbandona al dolore, stringe con le mani i braccioli per non precipitare. Cos'è questo male che sconquassa il cuore, come un regno saccheggiato e messo a ferro e fuoco? Dove si è nascosta l'infinita giustizia di Dio? E perché la sua infinita potenza vuole annientare un verme come è l'uomo?
Dalla radio in sottofondo un grido interrompe bruscamente la dolce musica: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?
Il dottor Jung risponde a Giobbe:
"Tu sei stato scelto per mostrare nella tua carne l'antinomia di Dio a Dio stesso, incosciente della sua duplice natura. Con te la consapevolezza di questo fenomeno ha avuto inizio. Era già deciso sin dall'inizio che la storia umana non avrebbe rappresentato altro che l'incarnazione di Dio, di cui il Cristo è una realizzazione: il divino si è unito all'umano. L'uno non può prescindere dall'altro".
Giobbe è dunque riabilitato. Può tornare a vivere.

(Suggestioni dal libro Risposta a Giobbe di C. G. Jung)


venerdì 10 aprile 2020

giovedì 9 aprile 2020

Trentunesimo giorno

Oggi mi sono imbattuta in un "paesaggio molecolare"...
I concetti di macrocosmo e microcosmo risalgono all'antichità: il tutto contiene ogni parte e ogni parte contiene il tutto. Le indagini esoteriche nella storia si sono spinte in territori nascosti a una visione grossolana della realtà. Così gli alchimisti studiarono la trasformazione della materia, come volendo cogliere in essa le tracce dell'anima. Questa ricerca filosofica si è trasformata in ricerca scientifica, la quale ha condotto l'umanità fino alla soglia da cui poter sbirciare e catturare le immagini del nanocosmo, l'infinitesimamente piccolo. Questo territorio oggi è battuto in lungo e in largo, alla ricerca della migliore soluzione al Virus del momento. Ma, insieme alla conoscenza cartesiana si allena una visione sempre più sottile della materia. L'arte - che come ogni simbolo non conosce il pensiero univoco - è la traghettatrice di tali esplorazioni, verso lo sguardo umanamente possibile. L'arte da sempre è anticipatrice di conoscenze future. Per questo non va ignorata, ora più che mai.

https://creativecommons.org/licenses/by/4.0/


martedì 7 aprile 2020

Ventinovesimo giorno

Per caso oggi mi sono imbattuta in un articolo della prestigiosa rivista Science. Ho pensato: ecco un caso interessante di introvisione!
L'introvisionario usa l'intuito e non teme gli sconfinamenti tra territori diversi. Sebbene possa ricorrere a un approccio scientifico tuttavia il suo sguardo, poiché è rivolto al "dentro" e il "dentro" non è rigidamente suddiviso in categorie come la realtà, è in grado di cogliere nuove possibilità. Così, in quanto sperimentatore, l'introvisionario sperimentando, osa.
Ebbene, mentre sono al computer sto ascoltando l'audio di una musica, in cui intervengono diversi strumenti: campane che suonano, corde che vibrano, flauti. Somiglia a una musica per rilassarsi, ma proseguendo il ritmo si fa discontinuo. Questi suoni sono i componenti tradotti in musica della proteina spike del coronavirus, la corona appunto con cui l'ospite si aggancia alla cellula. E' il risultato di un esperimento di alcuni ricercatori del MIT (Massachusetts Institute of Technology). L'articolo prosegue spiegando il modo in cui si sono ricavati i suoni e la possibile utilità nella ricerca farmacologica.
Ma al di là dei complicati risvolti scientifici, nella sequenza di note quale messaggio immaginario è nascosto?

domenica 5 aprile 2020

Ventisettesimo giorno

"Credo di essere naturalmente religioso," dice Fellini "perché il mondo, la vita, mi sembrano avvolti di mistero. E anche se fin da bambino non fossi stato affascinato da questo sentimento mistico che si proietta sull'esistenza e rende tutto inconoscibile, credo che il mestiere che faccio mi avrebbe naturalmente condotto verso un sentimento religioso. Faccio un sogno, oppure a occhi aperti mi abbandono a immaginare qualcosa, e poi firmando un contratto, con un po' di legname, due belle ragazze e un paio di riflettori, riesco a materializzare quel fantasma, e tutti possono vederlo come l'ho visto io mentre dormicchiavo o non pensavo a niente. Chi ci guida nell'avventura creativa? Soltanto la fiducia in qualcosa o in qualcuno nascosto dentro di te, qualcuno che conosci poco, che si fa vivo ogni tanto, una tua parte sorniona e sapiente che si è messa a lavorare al posto tuo può aver favorito la misteriosa operazione. Tu l'hai aiutata questa tua parte inconscia dandole fiducia, non contrastandola, lasciando fare a lei. Questo sentimento di fiducia credo che possa definirsi sentimento religioso.
La presunzione, l'erudizione, l'egoismo, la smania di saperne di più, la falsa cultura, molto spesso blocca questa fiducia, l'obbligano a ritirarsi, a dissolversi, e allora quasi sempre accade che i risultati siano meno soddisfacenti" (F. Fellini, Intervista sul cinema, Editori Laterza, 2004, p. 70-71).

sabato 4 aprile 2020

Ventiseiesimo giorno


C’è chi insegue la realtà, volendo stare al passo. Voglio aderire alle cose, percepirle nella loro concretezza. Voglio sapere quello che accade fuori, ma soprattutto dentro la rete. Inseguo allora le notizie, che esplodono in pop up e banner come a carnevale quando si lanciano i coriandoli. Inseguo i commenti e le opinioni. Confronto i numeri fotografati del passato con quelli fluttuanti del presente. Le informazioni lievitano inarrestabili facendo a gara, quanto a velocità, con la diffusione del virus.
In tutto questo e molto di più consiste la sensazione che i nostri occhi non debbano far altro che condurre la mente nelle strade affollate di altri occhi e di altre menti, per rimanere ancorati al mondo. E dal mondo attirati. Come se, solo in quella piazza gremita di occhi e menti consista la realtà di cui occuparsi.
Ci sono poi gli introvisionari. Sono coloro che seguono altri echi e che si attardano con questioni che ai più potrebbero sembrare banalità. Sono i poeti, gli scrittori più schivi, gli artisti che osano a costo di essere fraintesi. Sono quelli che riempiono gli spazi lasciati vuoti dalle cose reali, dalle notizie, dalla storia ufficiale e riescono, grazie al dono di occhi che non fuggono verso fuori ma che procedono nella direzione opposta, a spingere in avanti la coscienza.
Uno di questi introvisionari è stato Federico Fellini. Dice di se stesso negli anni 1941-43, in un libro intervista, a proposito della guerra: "Devo confessare, purtroppo senza arrossire, che tutto quel che dicevano non mi riguardasse affatto: non riuscivo a capire che cosa avremmo dovuto fare. E anche se potevo immaginare la necessità di atteggiamenti di cospirazione e di rivolta, come avremmo potuto organizzarla?" (F. Fellini, Intervista sul cinema, Editori Laterza, 2004, p. 47). La sua natura di introvisionario non lo sintonizzava con la storia - seppure dolorosa per molti - perché il suo compito era quello di mostrare su uno schermo immagini nuove. Così, il fascismo di Amarcord ha i contorni deformati del sogno, oscilla tra un grandioso paternalismo e la visione ingenua di un bambino, che ne esalta la banalità. E a pagina 45 dice di Kafka: "Kafka mi emozionò profondamente. Rimasi colpito da questo modo di affrontare l'aspetto misterioso delle cose, la loro indecifrabilità, il senso del labirinto, del quotidiano che diventa magico".

venerdì 3 aprile 2020

Venticinquesimo giorno

Di ritorno da una passeggiata ideale in una campagna immaginaria, passando per un campo fitto di margherite bianche e gialle, assaporando l'aria profumata e accarezzando con lo sguardo il cielo di un azzurro infinito, circondata da tutte quelle condizioni atmosferiche raccolte nei disegni dei bambini quando sono felici, arrivo davanti alla porta di casa. La apro, attendo qualche minuto prima di entrare, per sfilarmi le scarpe ricoperte di uno strato sottile di terriccio. Quindi varco la soglia e lascio che la porta si chiuda alle mie spalle. Il silenzio riempie la stanza. Eppure di tanto in tanto sembra che qualcosa gli sbatta contro. Insiste per un po', si interrompe, per poi ricominciare. Cerco intorno a me. Tutto, compreso il silenzio, è al suo posto. Nulla è mutato e ormai la passeggiata potrei dirla simile a un sogno. Ma all'improvviso il mio occhio mi strattona di qua e di là, all'inseguimento di una piccola ape ronzante che è cascata, spinta chissà da quale istinto, nella rete della porta aperta di casa mia.
Però il suo verso non è quello solito delle api. Sembra piuttosto una parola: in-tro-vi-sio-ne.
L'ape ha fiutato uno spiraglio nella finestra semi aperta e fugge via.
Introvisione  riassume il senso di questo tempo trascorso, non solo in casa, ma in un "dentro" che può essere portatore di immagini. E dalla combinazione delle immagini, si sa, nasce il racconto. Come dai suoni la musica.



mercoledì 1 aprile 2020

Ventitreesimo giorno

Scacco matto. Il re è atterrato lasciando il tassello della scacchiera vuoto. Nonostante tutte le nostre previsioni e prevenzioni, nonostante la nostra ricchezza e le nostre certezze, questo virus ha fatto scacco matto alla nostra civiltà. Tuttavia, come fa notare Marco Polo a Kublai Kan, sovrano di un grande impero, che assiste sgomento al fine ultimo della partita, il nulla, in quel tassello di ebano o acero c'è ancora una storia da mandare avanti, nel perenne andirivieni di passato e futuro, di ciò che stato e di ciò che sarà.
E proprio la storia in questi giorni è stata evocata. Oggi si sta svolgendo una pagina da affiancare ai grandiosi drammi dell'umanità:"Cari amici tedeschi con il coronavirus la storia è tornata in Occidente. Dopo trent’anni in cui l’unica cosa rilevante è stata l’economia, oggi la sfida torna ad essere, come in passato, politica, culturale e umana." scrivono in una lettera i sindaci e i governatori italiani alla stampa tedesca.
In realtà la storia c'è sempre stata - forse non se ne erano accorti - ed era quella delle piccole cose, degli sconosciuti, di tutti noi che quotidianamente ci siamo sporcati le mani, che siamo morti. Come ci guardano oggi i popoli che con spocchiosa superiorità abbiamo sfruttato e affamato? E la loro storia? Ah, no, giusto. Stiamo parlando dell'Occidente, ecco perché ora siamo preoccupati. Di un'altra cosa sembra che fossero ignari, e cioè che l'economia non è "l'unica cosa rilevante". Ma davvero?
E' certamente una bella lettera quella dei nostri sindaci e dei nostri governatori, che soprattutto ricorda ai tedeschi le loro responsabilità. Ma anche qui, chi scrive la storia deve fare delle distinzioni: non tutti i tedeschi furono responsabili del nazismo e delle sue aberrazioni. C'è anche la loro storia. Queste argomentazioni riaprono vecchie questioni, e utilizzano un'idea della storia romantica e parziale. Speriamo che una mente con più fantasia e creatività riesca a estrarre un nuovo racconto dal muto tassello di una scacchiera.

martedì 31 marzo 2020

Ventiduesimo giorno

Kublai Kan attraverso il viaggio-racconto di Marco Polo vuole toccare non solo la vastità, ma soprattutto la varietà del suo impero. Nello svolgersi però della narrazione, il sovrano si accorge che tutte le città prendono forma attraverso gli stessi elementi, organizzati in modi diversi, fino a ipotizzare che per scoprire l'aspetto di quelle terre sia sufficiente in fondo giocare una partita a scacchi: "[...] bastava giocare una partita secondo le regole, e contemplare ogni successivo stato della scacchiera come una delle innumerevoli forme che il sistema delle forme mette insieme e distrugge. [...] La conoscenza dell'impero era tracciato [...] dalle alternative inesorabili di ogni partita" (I. Calvino, Le città invisibili, Einaudi, 1972, pp. 128).
Kublai Kan vuole afferrare la conoscenza, la vuole possedere come il regno e le ricchezze di cui dispone, vuole comprenderne i meccanismi più segreti e assoluti. Ma nella rarefazione dei particolari, per giungere all'ossatura del suo mondo, si domanda quale sia il vero fine della partita. Cosa si vince o cosa si perde davvero? La sua magnificenza barcolla, come il re sotto il colpo del vincitore nel gesto dello scacco matto, riuscendo ad afferrare solo "un quadrato nero o bianco [...] un tassello di legno piallato: il nulla" (p. 129).
Kublai Kan è assetato e curioso della vita del suo regno. Ma seguendo gli emblemi che Marco Polo gli narra, si accorge che il suo sguardo si arresta impotente di fronte allo scarno tassello di una scacchiera. Tutto il tragitto che hanno compiuto insieme sembra condurre al vuoto e all'immobilità. Eppure, proprio da quella condizione di arresto, Polo scova il movimento di un nuovo racconto: "Allora Marco Polo parlò: - La tua scacchiera, sire, è un intarsio di due legni: ebano e acero. Il tassello sul quale si fissa il tuo sguardo illuminato fu tagliato in uno strato del tronco che crebbe in un anno di siccità [...]. La quantità di cose che si potevano leggere in un pezzetto di legno liscio e vuoto sommergeva Kublai; già Polo era venuto a parlare dei boschi d'ebano, delle zattere di tronchi che discendono i fiumi, degli approdi, delle donne alle finestre..." (pp. 139-140).
Kublai Kan però è ancora trattenuto dai suoi incubi: "Tutto è inutile, se l'ultimo approdo non può essere che la città infernale" dice a Polo, che lo incoraggia così a "cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio" (p. 170).

lunedì 30 marzo 2020

Ventunesimo giorno


"Allora Marco Polo parlò: - La tua scacchiera, sire, è un intarsio di due legni: ebano e acero. Il tassello sul quale si fissa il tuo sguardo illuminato fu tagliato in uno strato del tronco che crebbe in un anno di siccità [...]. La quantità di cose che si potevano leggere in un pezzetto di legno liscio e vuoto sommergeva Kublai; già Polo era venuto a parlare dei boschi d'ebano, delle zattere di tronchi che discendono i fiumi, degli approdi, delle donne alle finestre..." (I. Calvino, Le città invisibili, Einaudi, 1972, pp. 139-140).

domenica 29 marzo 2020

Ventesimo giorno

Non so ben dire di cosa stia veramente parlando, come non ho idee su questo virus che indossa una corona e che toglie il respiro. In questo mio pellegrinaggio giornaliero senza meta, in cui lascio orme della consistenza di pixel, su un foglio virtuale che forse neppure esiste, semplicemente mi imbatto in immagini e idee che tracciano percorsi inaspettati.
La "memoria nascosta" di cui scrivevo ieri mi ha condotta alle Città invisibili di Calvino. Le sottolineature si interrompono a pagina 54. E' lì che ho smesso di leggere. Mi capita quando un libro non mi piace o quando non lo capisco proprio. Forse per il tipo "lettore modello" questo modo di procedere è biasimevole. Ma io non sono una lettrice modello e neppure voglio esserlo. I libri sono come persone e, detto in tutta franchezza, non con tutti quelli che conosco vorrei intrattenermi a conversare, né loro con me. Tornando alla pagina 54, in questo caso, ho sospeso la lettura perché non ero nella condizione di accogliere il particolare punto di vista che Calvino suggerisce di assumere. Ora, credo vi sia la condizione. Eccome se c'è.
Il libro è un racconto del viaggio di Marco Polo attraverso le città dell'impero tartaro di Kublai Kan. Scorrendo l'indice, si può osservare che i racconti, numerati, sono organizzati in nove gruppi. Il primo e l'ultimo ne contengono dieci, mentre gli altri intermedi hanno ciascuno cinque racconti. A una rapida vista, sembra solo un indice, anche un po' confuso in realtà. Ma le città-titolo, si susseguono secondo uno schema ben preciso che forma una sorta di disegno: due torri laterali e una parte centrale che sembra una muraglia. Aprono e chiudono ciascun gruppo dei pilastri, spazi in cui avviene il confronto tra Marco Polo e Kublai Kan. La stessa organizzazione del libro somiglia a una città.
Il sovrano ascolta i resoconti dettagliati dei suoi messi ed esploratori, ma è attratto dai racconti dello straniero: "Solo nei resoconti di Marco Polo, Kublai Kan riusciva a discernere, attraverso le muraglie e le torri destinate a crollare, la filigrana d'un disegno così sottile da sfuggire al morso delle termiti".
Marco Polo narra le città attraverso gli oggetti che mostra di volta in volta all'imperatore, mettendo in scena una sorta di pantomima. Ma con il procedere del racconto, Kublai Kan inizia a dubitare che il giovane veneziano abbia davvero visitato quelle città e gli dice: "Non so quando hai avuto il tempo di visitare tutti i paesi che mi descrivi. A me sembra che tu non ti sia mai mosso da questo giardino". E Polo: "Forse questo giardino esiste solo all'ombra delle nostre palpebre abbassate. [...] Forse del mondo è rimasto un terreno vago ricoperto di immondezzai, e il giardino pensile della reggia del Gran Kan. Sono le nostre palpebre che li separano, ma non si sa quale è dentro e quale è fuori".
Il racconto è il viaggio. L'unico possibile oggi.

sabato 28 marzo 2020

Diciannovesimo giorno

"A onor del vero" mi guarda, abbassandosi gli occhiali sulla punta del naso, "la tua non è la prima città invisibile". Lo cerco tra gli altri suoi fratelli, ma non c'è.
"Hai capito" sorride, ma non è lì. Mi indica l'altra fila di ripiani, a metà circa della sua altezza. Non lo vedo. Comincio a pensare di averlo prestato a qualcuno. Ma lei insiste: "E' lì, tra i tascabili, guarda bene".
"Ah, finalmente! Eccoti".
Afferro il libro con la copertina bianca e un disegno quadrato, stile Einaudi anni settanta. Precisamente il 1972, l'anno della mia nascita se questo ha una qualche importanza. L'immagine è futuristica: ritrae un edificio sferico. Ma sui campi intorno ci sono degli uomini, con alcuni animali. Scopro che il disegno risale al 1785. Rimango sorpresa per il minimalismo e la geometria lineare della struttura. Si tratta de Le città invisibili di Italo Calvino.
CRIPTOMNESIA è in psicologia un disturbo della memoria, per cui un'idea che sembra originale, è in realtà un ricordo. Ciò che in questa definizione non mi convince è la parola "disturbo". L'etimologia è più evocativa delle categorie che si limitano a sottrarre, o ad aggiungere valore nel migliore dei casi. Cripto in greco significa "nascosto" e mnesis, "memoria". La "memoria nascosta" di un fatto, o di un'espressione, affiora in superficie trasformata dalla personale esperienza. Quindi la domanda davvero interessante non è se si tratti di un disturbo, di un cortocircuito del ricordo; ma se esista una qualche relazione fra l'idea nuova e quel dato che, sprofondato nell'inconscio, all'improvviso riemerge.
Apro il libro, di cui non ricordo nulla se non il titolo. Ma vedo che alcune parti sono sottolineate, a dimostrazione che qualche pagina ho letto. E' possibile che le parole siano state catturate dal mio cervello, e come vecchi oggetti riposti in un cassetto a un certo punto, durante la scrittura del diario di una semi quarantena, balzino all'attenzione; comincino a gesticolare per farsi notare.
L'unico modo per capire quale sia la relazione fra la mia città invisibile e quelle di Calvino è leggere il suo libro.

venerdì 27 marzo 2020

Diciottesimo giorno

Il 19 marzo, trascrivevo l'esagramma 57 dell'I Ching. La Sentenza dice alla fine: "Propizio è vedere il Grande Uomo". Chi è, nella città invisibile percorsa ieri, il GRANDE UOMO?
L'allieva, amica e collaboratrice di Jung, Barbara Hannah, racconta sia in Vita e opere di C.G. Jung (Rusconi, 1996), sia in Encounters with the Soul (Chiron Publications, 2001), una storiella che il suo maestro narrava spesso e che le consigliò di non dimenticare mai e di ripetere all'inizio di ogni conferenza. Dice la Hannah nella Vita: "[...] forse riuscirà difficile, per molti lettori occidentali, ammettere che la vita interiore di Jung avesse tanta importanza (e l'avesse anche per i suoi pazienti e per quanti lo circondavano), in anni in cui il mondo esterno si torceva nelle sofferenze della guerra".
No, il GRANDE UOMO evocato non è Jung, ma il protagonista di quell'episodio riportatogli da Richard Wilhelm, sinologo e curatore dell'I Ching, che questi aveva vissuto in prima persona durante la sua permanenza in Cina.
Ebbene, Wilhelm si era trovato in un villaggio Cinese colpito dalla siccità. Le preghiere e gli incantesimi degli abitanti non bastarono a generare la pioggia, così gli anziani del villaggio confessarono allo straniero che bisognava far giungere da lontano un mago. Wilhelm era curioso di incontrarlo - anche io lo sarei stata! - così attese il suo arrivo: un vecchietto grinzoso su un carro coperto. Non era proprio un GRANDE UOMO, ma nella città invisibile le cose non sono solo ciò che sembrano. Questo presunto mago, non alzò le mani al cielo, non pronunciò indecifrabili incantesimi, ma volle soltanto ritirarsi in una tenda e non essere disturbato per alcun motivo. Avrebbero messo il cibo fuori dall'uscio senza incontrarlo mai. Dopo tre giorni, iniziò finalmente a piovere e a nevicare sebbene non fosse la stagione adatta. Wilhelm allora domandò all'uomo come avesse fatto a far piovere. Quello scosse il capo e disse: "Ma no, le cose sono andate in tutt'altro modo. Vedi, io provengo da una regione dove tutto procede per il meglio, piove quando è necessario e fa bel tempo quando occorre, e anche la gente è a posto e in pace con se stessa. Non così invece la gente di qui, la quale è fuori dal Tao e fuori di sé. Quando ho messo piede nel villaggio sono stato subito contagiato [sceso dal carro "aveva fiutato l'aria con espressione disgustata" - n.d.r.], per cui ho dovuto starmene da solo finché non sono tornato nel Tao, e allora com'è ovvio s'è messo a piovere".
Mi ricorda "il vivere in armonia con le leggi della propria natura" e "il periodo di riposo e un rinnovo di forze" di Paracelso.
Mi ricorda la necessità dell'attesa dell'esagramma 23, LA FRANTUMAZIONE.


giovedì 26 marzo 2020

Diciassettesimo giorno

La strada che percorrerò oggi è quella di una città invisibile, in cui le cose non sono solo ciò che sembrano. Anche un virus, così piccolo eppure così mortifero, può in una simile città diventare un simbolo, uno strumento per ampliare la coscienza e per generare novità.
Partirei dalla parola, di origine latina. Virus è il succo delle piante, il veleno.
Qui alla mia sinistra ho un librone, intitolato Il libro dei simboli (Taschen editore); il VELENO è inserito nella sezione "Mondo spirituale" e nella categoria "Malattia e morte", insieme a MALATTIA, FERITA, VOMITO, MEDICINA, ANNEGAMENTO, CROCIFISSIONE, IMPICCAGIONE, ASSASSINIO/OMICIDIO, SUICIDIO, SEPOLTURA, BARA, CREMAZIONE, MUMMIA, DECOMPOSIZIONE, SMEMBRAMENTO. Insomma, lo trovo in un quartiere della città invisibile alquanto tetro e minaccioso. Si tratta quindi di una visita, di un confronto con un essere oscuro e subdolo. Esso è uno degli elementi che Paracelso, medico e alchimista del XV secolo, individua tra le cinque cause/entità della malattia: l'Ens Veneni. L'uomo, secondo Paracelso, è stato creato come gli animali privo di qualunque veleno (leggo "virus"), ma a differenza di essi può assumerlo attraverso il cibo: "L'uomo è soggetto alle malattie più degli animali allo stato libero, dal momento che questi vivono in armonia con le leggi della propria natura, mentre l'uomo si muove di continuo contro le leggi della propria natura, specialmente nel mangiare e nel bere. [...] L'organismo richiede un periodo di riposo e un rinnovo di forze per espellere gli elementi velenosi accumulati" (citazione tratta da Paracelso e la scienza dell'uomo, di C.G. Nuti, OM EDIZIONI). Devo ricordarmi che nella città invisibile le cose non sono solo ciò che sembrano; così come il veleno, virus latino, anche il cibo perde la sua naturale consistenza per diventare nutrimento sottile. Ma un nutrimento senza "armonia con le leggi della propria natura" produce la malattia dannosa per il corpo e, nella città invisibile, per l'anima.
Tuttavia, ciò che uccide è anche in grado di guarire. Il serpente - eccolo che sbuca da un angolo della strada di questa città invisibile - scivola nascosto tra le cose per colpire e rilasciare il suo veleno nel corpo del malcapitato. Il librone sui simboli, però, mi ricorda che nell'immaginario antico un malato poteva essere guarito trascorrendo la notte nella zona sacra del tempio dove viveva un serpente: "Esso rappresentava il demone di Asclepio, il dio della medicina degli antichi greci e ne incarnava la potente sostanza dell'anima, il veleno che rendeva le sue medicine, simboleggiate dal calice, efficaci". Il veleno contenuto in quel calice poteva costituire la bevanda capace di portare la guarigione, l'equilibrio e la condizione di "armonia con la propria natura".

mercoledì 25 marzo 2020

Sedicesimo giorno

E' come se una nube di caos si fosse diradata lasciando intravedere l'ossatura del nostro paese, gli snodi cruciali che possono rendere una nazione pronta a fronteggiare l'emergenza oppure, se non lo è, la possono far soccombere. Questo preciso momento, in cui tutto è fermo e siamo chiusi in casa, mentre negli ospedali si combatte come al fronte, le priorità si manifestano senza confondersi con la frenesia dell'economia, con gli spettacoli pirotecnici della politica, con la rapidità delle nostre giornate.
Ho pensato a una scatola, come quelle che si usano negli uffici, in cui mettere i documenti da ricontrollare e gli appunti delle attività che si dovranno svolgere una volta terminate le urgenze. In questa scatola riporrei alcuni grandi temi da affrontare, una volta che il Covid-19 diventerà innocuo:

  • La politica. Onestà, competenza, serietà, impegno.
  • La sanità. Investire nella sanità pubblica: ricerca, personale, dotazioni, strutture ospedaliere.
  • L'inquinamento. Consumiamo ciò che serve e rinunciamo al superfluo.  
  • Le telecomunicazioni. Impedire che vengano smembrate per i giochi di potere di qualche scellerato. Consolidare la presenza dello Stato. Investimenti.
  • La scuola. Renderla agile e interessante. Perché fino a qualche settimana fa non era né agile, né interessante. I nostri ragazzi faranno domande diverse dopo questi giorni, domande che forse neppure immaginiamo. Dobbiamo prepararci, prima di tutto ad ascoltarli. 
  • Le imprese, i lavoratori e nuove opportunità. Meno burocrazia, meno pressione fiscale, maggiore impegno negli adempimenti contrattuali e maggiore consapevolezza degli equilibri dell'economia reale.
  • Evasione fiscale. Cambiare mentalità. Ogni centesimo versato all'erario e agli enti previdenziali, assicurativi e locali, è un gesto concreto di partecipazione al vivere collettivo e di solidarietà. 
  • Informazione. Libera, ma non d'assalto. Critica, ma non fumosa. Competente.
  • Social. Usciamo di casa e incontriamoci.
  • Tempo. Dominiamolo e non lasciamoci dominare.
  • Immaginazione. Per cambiare il mondo dobbiamo prima di tutto immaginarlo diverso.



martedì 24 marzo 2020

Quindicesimo giorno

Ho letto il saggio di Jung del 1936 su Wotan, in cui cerca di spiegare il nazionalsocialismo, non in termini razionali, economici o politici, ma come il risveglio di un archetipo pagano, a lungo represso dalla coscienza germanica. Il punto di vista è quello di uno studioso dell'inconscio, lo stesso inconscio da cui nascono i sogni.
Non voglio e non posso parlare dell'inconscio in termini scientifici, per esempio lanciandomi nella dimostrazione della sua esistenza. Mi accosto a questo spazio appunto sconosciuto, come farebbe una donna primitiva di fronte alle immagini che di notte vede apparire nel sonno. Quella donna non si domanderebbe se sono reali o frutto di semplici impulsi elettrici o chissà cos'altro. Anzi, presterebbe molta attenzione a quel che quelle figure simili a fantasmi le suggerirebbero e ne sarebbe afferrata.
Tenendo presente questo atteggiamento primitivo, Jung invita i suoi lettori a riconoscere alle soglie della seconda guerra mondiale il ritorno di antiche energie e scrive: "Se ci fosse lecito dimenticare per un momento che viviamo nell'anno del Signore 1936 e che per conseguenza crediamo di spiegare il mondo razionalmente in base ai fattori economici, politici e psicologici; se accantonassimo la nostra bene intenzionata ragionevolezza umana, troppo umana; se ci permettessimo di accollare a Dio o agli dèi anziché all'uomo, la responsabilità degli eventi contemporanei, allora Wotan farebbe proprio al caso nostro come ipotesi causale. Oso perfino avanzare l'eretica affermazione che il vecchio Wotan, col suo carattere abissale, insondabile, spiega il nazionalsocialismo più di quanto lo facciano, messi insieme, i predetti tre ragionevoli fattori".
Insomma, l'archetipo redivivo sarebbe in grado di spiegare la direzione che sta prendendo l'umanità.
E continua: "Gli archetipi somigliano a letti di fiume abbandonati dall'acqua, che può farvi ritorno in un momento più o meno lontano; sono come vecchi fiumi nei quali le acque della vita sono fluite a lungo, per poi sparire nel profondo; quanto più a lungo sono fluite nella stessa direziono, tanto più è probabile che prima o poi facciano ritorno al loro letto. Se nella società umana, e specialmente all'interno dello stato, la vita del singolo è regolarizzata come un canale, la vita delle nazioni è come la corrente di un fiume impetuoso che nessuno domina; [...] Cosi la vita delle nazioni scorre via senza freno, senza guida, inconscia, come un macigno che precipita giù per un pendio, fermandosi soltanto davanti a un ostacolo insuperabile. Perciò gli avvenimenti politici passano da un vicolo cieco a un altro, come torrenti che si insinuano per burroni, meandri e paludi. Dove non è il singolo a muoversi, ma la massa, il controllo umano vien meno, e gli archetipi cominciano a operare; lo stesso accade nella vita dell'individuo quando si trova davanti a situazioni che le categorie a lui note non riescono più a padroneggiare".
Tale modo di vedere può senz'altro sembrare estremamente fragile in situazioni di emergenza, in cui uomini e donne sono impegnati a salvare la vita di altri uomini e donne. Ma, mentre accetto di rinunciare alle mie libertà primarie per il bene comune, mi domando quale forza primitiva si vuole mostrare all'umanità inciampata in un ostacolo all'apparenza insormontabile.

A questo link è possibile leggere il saggio.

lunedì 23 marzo 2020

Quattordicesimo giorno

Il 23 marzo 2019 moriva la persona più mite che io abbia mai conosciuto e allora abbiamo piantato in giardino un alberello di ulivo. Volevo che la mattina, guardando dalla finestra della cucina, ci ricordassimo di lei, ogni giorno. Volevo però che il ricordo fosse legato a qualche cosa di vivo, destinato a crescere e a simboleggiare la forza e la saggezza.
In verità non ho speso molto tempo con lei e per me è stato sempre difficile raggiungerla nel luogo in cui la sua mente viveva per gran parte della giornata. Solo di rado ci regalava la sua attenzione. Il mondo, così come le si era mostrato, non era abbastanza forte da trattenerla e da strapparla a quell'altro mondo fatto di visioni e sogni che la tenevano occupata.
Penso più a lei adesso che quando era in vita, e non per tacitare la mia coscienza. Ma forse ora per comprenderla non devo scardinare nessuna porta, non devo rompere le barriere dei gesti, degli sguardi, delle parole e dei lunghi silenzi. Devo semplicemente distanziarmi dalle cose, come faceva lei.
Ha smesso di camminare, poi sdraiata nel letto il suo corpo pian piano è scivolato nel sopore appena interrotto da brevi risvegli. Gli occhi erano rimasti i soli a muoversi, fino a quando anche loro si sono ritirati dietro le palpebre e un sonno imperturbabile è sopraggiunto. Non c'era nulla che si potesse fare. Non c'era nessuna spiegazione medica che indicasse la causa o le cause di quello stato, varie e vaghe erano le ipotesi. Il punto è che la medicina di fronte all'impossibilità di fornire risposte precise, non può fare altro che dare assistenza fino a quando è la vita stessa a fuggire via.
Ha vissuto in silenzio e così se n'è andata. Ma quel silenzio e quella mitezza, quel disinteresse per le cose che aveva mostrato nell'età avanzata, in realtà mi facevano pensare a una grande tenacia, al piegarsi senza spezzarsi. Proprio come l'ulivo di casa mia.

domenica 22 marzo 2020

Tredicesimo giorno

Viaggio domestico. Ciò che comunemente chiamiamo viaggio è in realtà un arrendersi all'inaspettato. Viaggiare significa essere sradicati per qualche tempo dalla propria terra, per raccogliere con i sensi immagini, odori, sapori, suoni nuovi, o comunque diversi. Posso viaggiare tra le mura di casa mia? Oltre al viaggiare con la fantasia, c'è anche un viaggiare tra le parole.
Qualche anno fa, come oggi, mi è capitato di pensare al significato di "leggere":
"Questo verbo latino mi ha sempre incuriosita. Il legere latino fa convivere due attività: quella del leggere e quella del percorrere.
Gli occhi scorrono le parole scritte esattamente come se stessero attraversando terre note o ignote. Allo stesso modo, il viaggiatore che naviga attraverso il mare, costeggia con la sua imbarcazione nuovi lidi, o si imbatte in luoghi sconosciuti.
Ecco allora che leggere è un viaggio. Questa è la meravigliosa semplicità della lingua, multiforme!
Dunque, cosa ho fatto da venerdì 14 giugno 2013 (la data del mio ultimo post) a oggi?
Per dirla con Campbell, ho sottolineato libri. Ho remato con la matita attraverso le parole silenziose degli altri.
Sono rimasta stupita, questa mattina, quando ho preso in mano il vocabolario di latino per cercare il verbo legere, e ho trovato un foglio azzurro tra le pagine proprio in quel punto, come a dirmi: - Bentornata! Qui eri rimasta! Da questo punto puoi ripartire!".

sabato 21 marzo 2020

Dodicesimo giorno

Quali sono allora le tappe della trasformazione che va dall'attesa per trovare lo stato di equilibrio a un agire consapevole? Era questa la domanda con cui concludevo il post di ieri.

Prima tappa
SEI AL SECONDO POSTO SIGNIFICA:
IL LETTO VA IN FRANTUMI AL BORDO.
I PERSEVERANTI VENGONO ANNIENTATI. SCIAGURA.

Dice il commento: "Il pericolo si avvicina già alla propria persona; e già spuntano chiari indizi. La quiete è disturbata. Mentre ci si trova in questa posizione pericolosa si è anche privi di aiuti e di consensi, sia dall'alto che dal basso. [...] Se si volesse insistere con rigidità e perseveranza nel difendere la propria posizione, ciò condurrebbe alla rovina". C'è l'equilibrio, ma anche l'isolamento, la solitudine. In questa situazione sembra però che l'ego (difendere la propria posizione) debba essere messo a tacere.

Seconda tappa
SEI AL TERZO POSTO SIGNIFICA:
EGLI ROMPE CON LORO. NESSUNA MACCHIA.

"Si è finiti dentro un cattivo ambiente al quale si è legati anche da vincoli esterni. [...] Si acquista così la fermezza interiore con cui ci si può liberare dal carattere degli uomini che ci circondano. Così ci si trova alla fine in contrasto con loro, ma questo non è affatto un errore". Si passa quindi dall'equilibrio, attraverso la solitudine, alla fermezza interiore. Non è l'ego che deve difendere se stesso, ma la vera natura dell'essere, la quale ci distingue dagli altri.

Terza tappa
SEI AL QUINTO POSTO SIGNIFICA:
UN BRANCO DI PESCI. GRAZIE ALLE DAME DI PALAZZO VIENE FAVORE.
TUTTO E' PROPIZIO.

"Qui," scrive Wilhelm "nell'immediata vicinanza del principio superiore forte e chiaro, si trasforma la natura dell'oscuro". E in un altro punto: "Quando la linea muta, appare in alto il trigramma SUN, che significa pesce". I pesci conducono al culmine - il palazzo - di un processo. Simbolicamente il pesce "è associato alla nascita e alla resurrezione ciclica"; i pesci rappresentano "la psiche, il mondo interiore, tenebroso, attraverso il quale si comunica con Dio o con il diavolo" (J. Chevalier, A. Gheerbrant, Dizionario dei simboli, Bur Saggi, 2018). Il branco di pesci, elemento femminile - le dame - potrebbe essere paragonato a un inconscio collettivo che avanza. Ecco allora che può nascere "il mite" dell'esagramma 57.

venerdì 20 marzo 2020

Undicesimo giorno

Ricapitolando, nell'I Ching il lancio delle tre monete per sei volte è il gesto che segna l'istante in cui la realtà fenomenica si incontra con la realtà psicologica. L'esagramma, formato da un trigramma inferiore e da uno superiore è il "segno" di quell'incontro, il responso. Quest'ultimo può essere fisso, come un'istantanea, o fluido come una sequenza d'immagini. A determinare quella o questa natura è l'assenza o la presenza di linee mobili, ovvero di linee che da continue si spezzano o viceversa. Come si vede, nel responso si mette in scena il gioco degli opposti, in cui il passaggio dall'uno all'altro stato non è repentino ma armonioso. Come dire che la condizione fenomenica/psicologica iniziale, in presenza di linee mobili, si evolve in un nuovo stato.

Se esagramma 23 non avesse avuto linee mobili, esso avrebbe rappresentato una situazione fissa non suscettibile di modificazioni, per la quale sarebbe esistito il rischio che il monte, se troppo elevato rispetto a una base ristretta, avrebbe potuto perdere l'equilibrio e frantumarsi. Per assicurarne la stabilità, il vertice deve avere perciò un'ampia base d'appoggio. Quindi la sentenza suggerisce l'attesa.

Ora, però, la presenza di linee mobili indica che l'attesa, il non andare cioè in nessun luogo, freme per essere superata e trasformarsi in movimento, l'avere dove recarsi. In questo esperimento ci sono ben tre passaggi che conducono all'esagramma 57, in cui protagonista indiscusso è il mite che raggiunge il suo obiettivo mediante un quieto ma incessante procedere alla ricerca del grande uomo. Il mite somiglia ai venti che si susseguono. Il risultato sarà una condizione ordinata che darà i suoi frutti.
Quali sono allora le tappe della trasformazione che va dall'attesa per trovare lo stato di equilibrio a un agire consapevole?


giovedì 19 marzo 2020

Decimo giorno

Esagramma 57: IL MITE (IL PENETRANTE, IL VENTO)

La sentenza
IL MITE. MEDIANTE PICCOLE COSA RIUSCITA. PROPIZIO E' AVERE DOVE RECARSI. PROPIZIO E' VEDERE IL GRANDE UOMO.

L'immagine
VENTI CHE SI SUSSEGUONO: L'IMMAGINE DEL MITE CHE PENETRA. COSI' IL NOBILE DIFFONDE I SUOI ORDINI E CURA I SUOI AFFARI.

E' sempre Wilhelm a commentare: "L'oscuro che di per sé è rigido e immobile, viene dissolto dal penetrante principio chiaro, al quale si sottomette in mitezza. Nella natura è il vento a disperdere le nubi accumulate e a creare serena chiarezza nel cielo. Nella vita umana è la penetrante chiarezza del giudizio ad annientare ogni recondito pensiero oscuro. [...] Il penetrare genera effetti graduali e poco appariscenti. [...] Una piccola forza può raggiungere qualche risultato soltanto sottomettendosi a un uomo ragguardevole che abbia la capacità di creare ordine. [...] La capacità di penetrazione del vento dipende dalla sua lena incessante [...]. Come strumento della sua azione il vento usa il tempo".

mercoledì 18 marzo 2020

Nono giorno

Ancora l'I Ching e ancora il responso successivo al lancio delle monete del 15 marzo, Sesto giorno di questa semi quarantena. Non avevo posto una domanda specifica. Scrivevo: "Non lancerò le monete per scopi divinatori. I gesti che compirò romperanno l'insistenza del pensiero incagliato nella situazione attuale, che il mondo sta vivendo. Essi rappresenteranno la condizione psicologica presente correlata agli eventi contingenti".
Le monete hanno dato gli esagrammi 23 e 57.
Questa sera mi occuperò del commento di Wilhelm a proposito dell'esagramma 23: LA FRANTUMAZIONE

La sentenza
LA FRANTUMAZIONE. NON E' PROPIZIO ANDARE IN NESSUN LUOGO

L'immagine
IL MONTE POGGIA SULLA TERRA:
L'IMMAGINE DELLA FRANTUMAZIONE.
COSI' I SUPERIORI POSSONO ASSICURARE LA LORO POSIZIONE SOLO CON RICCHE ELARGIZIONI AGLI INFERIORI

Scrive il sinologo: "E' un tempo nel quale gli ignobili stanno avanzando [...]. Poiché ciò è inerente al corso del tempo, in tali circostanze non è propizio per il nobile imprendere alcunché. [...] Il trigramma inferiore significa la terra, le cui qualità sono l'arrendevolezza e la dedizione; quello superiore significa il monte, la cui qualità è la quiete. Ciò suggerisce di adattarsi ai tempi cattivi e di stare fermi. Qui non si tratta di macchinazioni umane, ma di condizioni temporali le quali mostrano anche un alternarsi di aumento e diminuzione, di pienezza e di vuoto, secondo leggi celesti. Non è possibile agire secondo queste vicende del tempo. [...] Il monte poggia sulla terra. [...] Così i sovrani poggiano sulla larga base del popolo. Anche per loro è opportuno essere generosi e magnanimi come la terra che tutto sostiene; così renderanno la loro posizione sicura come quella di una montagna ben assestata".



martedì 17 marzo 2020

Ottavo giorno

Per dei normali cittadini, per me che conduco una vita anonima rispetto ai potenti della terra non è possibile sopportare, senza cadere nello sconforto o al contrario senza trasformarmi in un manichino di plastica, tutte le notizie che si rovesciano sul tetto di casa come una tempesta. E' troppo ghiotto per l'informazione il consenso del popolo, dai giornali passando per i Tg della "grande distribuzione" fino ad arrivare ai canali su YouTube e a toccare i cronisti "fai da te". La questione è interessante, perché il vero scopo non sono neppure i soldi, ma la gloria.
Funziona così. Viene pubblicato un articolo su un giornale più o meno indipendente, diciamo un giornale tendenzialmente fuori dal coro. L'articolo si basa su un certo fatto, per esempio l'uso di piccioni viaggiatori al tempo della pandemia, che "tutti possono verificare online" dice lo stesso autore (come se lo strumento filologico per analizzare l'attendibilità di una fonte sia semplice come un'addizione). Ebbene, un canale YouTube che propone informazione indipendente (ma l'informazione non è mai indipendente perché la stessa scelta di una scaletta di argomenti è già una soggettiva) invita il giornalista in questione a parlare del suo articolo. La catena è questa: informazioni reperite online che rimandano a un fatto realmente accaduto si uniscono alle competenze del giornalista e nasce il pezzo; al pezzo si aggiungono le domande dello YouTuber; alle domande si sommano i commenti e le ulteriori spiegazioni dell'intervistato. Insomma, intorno ai piccioni viaggiatori al tempo della pandemia si genera una nebbia fitta di parole e di ipotesi, e tu uomo o donna qualunque ti chiedi: "Ma a cosa serve davvero l'informazione se il risultato è sempre e solo il dubbio e la sensazione che ogni cosa sia profondamente marcia?"
"Ma i dubbi sono la materia prima della consapevolezza" dice il filosofo e io per un po' gli do anche ragione: "Eh, sì, in effetti il dubbio..."
Mi chiedo però cosa sia davvero una notizia. Un ragionamento più o meno valido, una supposizione o un fatto? L'informazione ha appunto il compito di aiutare a capire con testimonianze e documenti a cui gli utenti comuni non hanno accesso o che non sanno decodificare. Se posso andarmi a reperire da sola dei dati su Internet, allora i giornali non servono e la mia consapevolezza arriverà fin dove può portarmi il mio senso critico.

lunedì 16 marzo 2020

Settimo giorno

Oggi voglio ricordare una qualità degli italiani, la creatività. Sono rimasta a guardare incantata e divertita i video e le immagini che rimbalzano da un cellulare all'altro con allegria, in questi giorni. Le riprese di alti palazzi di periferia in cui pochi metri quadrati ospitano intere famiglie, e il suono di cori che parlano di Roma e dell'Italia accendono di vita la città deserta. Mi viene un nodo in gola, e voglio ricordarmelo questo nodo nella sua semplicità, perché forse è quello che tiene uniti tutti noi.

domenica 15 marzo 2020

Sesto giorno

Sottotitolo: Come spezzare l'incantesimo della paura... con un altro incantesimo.
"Vieni" dico alla mia amica, la Paura. Lei si avvicina alla scrivania, di fronte a me, in attesa.
Le mostro la scatoletta di metallo delle caramelle Mentos, alla fragola. La agito e si sente il rumore di qualcosa al suo interno che sbatte confusamente contro le pareti. La apro e rovescio il contenuto sulla scrivania. Tre monete si dispongono a caso. La Paura è curiosa di sapere quale bizzarria io stia per compiere.
"Vedi queste tre monete?" le dico.
"Sono le monete per consultare l'I Ching". Mormorii e disappunto ovunque nella mia testa. Figuriamoci, era da prevederlo.
Chiamo in aiuto il dottor Carl Gustav Jung, il mio mentore. Non che io abbia davvero imparato chissà cosa da lui, così alta è la sua statura e così difficile per me comprendere tutto ciò che ha scritto. Ma alcune sue affermazioni sono chiare, perciò mi aggrappo a quelle. Apro il suo commento all'I Ching tradotto da Richard Wilhelm, edito da Adelphi. Mi racconta la sua esperienza con questo testo: "la stranezza delle allucinazioni dei dementi o delle superstizioni primitive non mi ha mai sgomentato. Ho sempre tentato di rimanere imparziale e curioso - rerum novarum cupidus". E più avanti: "Non si possono mettere da parte alla leggera uomini della statura di Confucio e Lao-tse [...]; e meno ancora si può sorvolare sul fatto che l'I Ching fu la loro principale fonte d'ispirazione. [...] ho superato gli ottant'anni, e le mutevoli opinioni degli uomini non mi fanno più molta impressione; i pensieri degli antichi maestri hanno per me maggior peso dei pregiudizi filosofici della mentalità occidentale".
Quindi, timidamente proseguo e dico alla mia interlocutrice: "Non lancerò le monete per scopi divinatori. I gesti che compirò romperanno l'insistenza del pensiero incagliato nella situazione attuale, che il mondo sta vivendo. Essi rappresenteranno la condizione psicologica presente correlata agli eventi contingenti". Magia? No, affatto. Sincronicità.
Dice Jung: "l'inventore dell'I Ching, chiunque sia stato, era convinto che l'esagramma elaborato in un dato momento coincideva con quel momento anche nella qualità, e non soltanto nel tempo [...]. Questa teoria implica un certo strano principio che io ho denominato sincronicità, un concetto che formula un punto di vista diametralmente opposto a quello della causalità". A differenza di quest'ultima, il principio studiato ampiamente da Jung si fonda sull'idea che vi sia "interdipendenza degli eventi oggettivi tra loro, come pure tra essi e le condizioni soggettive (psichiche) dell'osservatore e degli osservatori". Poi spiega che se ci sono quattro eventi, due di natura fisica A' e B', e due di natura psichica C' e D', è possibile che tutti "compaiano nel medesimo istante e nel medesimo posto" perché gli eventi fisici sono della stessa qualità di quelli psichici, e poi perché "tutti quanti sono esponenti di una medesima situazione momentanea". Spingendomi oltre, si può dire che un evento esterno può configurarne uno interiore in un dato istante, istante che nel caso specifico è rappresentato dal lancio delle monete.
Quindi, senza perdere ulteriore tempo e avendo chiarito con me stessa che non sono pazza né una fattucchiera, lancio queste benedette monete sei volte e trascrivo le linee dell'esagramma dal basso verso l'alto come richiesto. Poiché vi sono linee mobili, gli esagrammi sono due e precisamente il numero 23 che si trasforma nel 57.

23. LA FRANTUMAZIONE
La sentenza
LA FRANTUMAZIONE. NON E' PROPIZIO ANDARE IN NESSUN LUOGO
L'immagine
IL MONTE POGGIA SULLA TERRA:
L'IMMAGINE DELLA FRANTUMAZIONE.
COSI' I SUPERIORI POSSONO ASSICURARE LA LORO POSIZIONE SOLO CON RICCHE ELARGIZIONI AGLI INFERIORI.

57. IL MITE
La sentenza
IL MITE. MEDIANTE PICCOLE COSA RIUSCITA. PROPIZIO E' AVERE DOVE RECARSI. PROPIZIO E' VEDERE IL GRANDE UOMO.
L'immagine
VENTI CHE SI SUSSEGUONO: L'IMMAGINE DEL MITE CHE PENETRA. COSI' IL NOBILE DIFFONDE I SUOI ORDINI E CURA I SUOI AFFARI.

"L'I Ching non si fa avanti con dimostrazioni e risultati, non fa l'imbonitore di se stesso, né è facile avvicinarglisi. Quasi fosse una parte della natura, aspetta di essere scoperto. Non offre né fatti né potere, ma per chi desidera conoscere se stesso e per chi ama la saggezza - se mai questa esiste - sembra essere il libro giusto. [...] Vada questo libro per il mondo a beneficio di coloro che sanno discernerne il significato" scriveva Jung.


sabato 14 marzo 2020

Quinto giorno

La tecnologia - guai se non ci fosse proprio ora che siamo isolati in casa! - è una via di fuga. Ma in questi giorni è impossibile non rimanere impigliati nella ragnatela di notizie, commenti e messaggi che rimbalzano nell'etere e tessono una fitta trama. A volte manca il respiro. Come se l'aria, più leggera per le strade senza traffico, fosse appesantita da una coltre di narrazioni.
Spegnere tutto. Sì, ma così ti estranei ancora di più. Fuggire. Sì, ma dove?
Boccaccio. Oggi mi è venuto in mente Boccaccio e il suo Decameron. Scorro con lo sguardo lungo gli scaffali della libreria ed eccolo lì, tra le edizioni Garzanti. Afferro il primo dei due volumi e rileggo il Proemio e l'Introduzione, sdraiata nel letto e con le lancette dell'orologio che hanno rallentato la loro corsa, di solito concitata.
A scuola - ah la scuola! - si parla sempre della solita "cornice" del Decameron, come se un grande scrittore si limitasse a giustapporre i pezzi di un'idea, senza che essi si compenetrino e formino un unico organismo. Del resto, la nostra è l'epoca degli specialisti (chiedo scusa in anticipo ai medici che in questo momento sono i soldati al fronte), perciò il cardiologo non è tenuto a sapere cosa capita al mignolo del piede sinistro; come se il nostro corpo fosse stato assemblato come un manichino. 
Dicevo, la "cornice" del Decameron è in realtà un'allegoria che forse potrebbe tornare utile, non per sconfiggere il famigerato Covid-19, ma per sperimentare nuove possibilità.
Boccaccio nell'Introduzione racconta della peste diffusasi a Firenze nel 1348: la "dolorosa ricordazione della pestifera mortalità trapassata". Riconosce che questo è davvero un "orrido comenciamento", un inizio in effetti apparentemente inappropriato a una narrazione che voglia portare conforto. Quel fatto di cronaca che lo scrittore racconta con dovizia di particolari, restituisce l'immagine di una città sconfitta dal contagio per un morbo che si trasmette - guarda un po' - con i contatti ravvicinati e che sembra sopravvivere sugli oggetti. Fin qui nulla di nuovo. Ma ecco sopraggiungere la svolta. La vicenda si sposta all'interno della chiesa di Santa Maria Novella. Lì sette donne confabulano. Vogliono allontanarsi da Firenze per mettere in salvo le loro vite. Praticamente un isolamento volontario. Lo faranno inseme a tre uomini che nel frattempo sono entrati anche loro nella chiesa.
Gli amici si spostano in campagna in cui, su proposta di Pampinea, decidono di trascorrere le giornate raccontando ciascuno una novella. 
Boccaccio suggerisce un luogo in cui ritirarsi, da una realtà in cui momentaneamente sembra impossibile vivere; un locus amoenus dove immaginazione e narrazione aiuteranno il ritorno alla normalità.

venerdì 13 marzo 2020

giovedì 12 marzo 2020

Terzo giorno

Quale diario è quello che racconta un viaggio all'interno delle mura domestiche? Eppure Emily Dickinson pur trascorrendo gran parte della sua vita in casa, da autoreclusa, scrisse poesie così ariose che si potrebbero confondere con quelle di un'esploratrice del mondo. Ma in fondo lo era, perché la sua immaginazione travalicava le pareti tra cui forse si nascondeva.
Ecco come la facoltà immaginativa può farci uscire di casa, passeggiare tra la gente, assaporare la primavera, andare al cinema e al teatro, volare in paesi esotici, in luoghi incontaminati o in affollate metropoli, respirare l'aria limpida e fresca a pieni polmoni e anche, perché no, starnutire e tossire in tutta libertà.
Immaginare è spostare l'attenzione da ciò che ho intorno, dai suoni che mi invadono, dagli eventi che si susseguono senza tregua, dalle notizie che mi sovrastano come per soffocarmi, verso un punto chissà dove in cui può apparire qualche cosa di nuovo e inaspettato; proprio come Emily Dickinson è sbucata all'improvviso da qualche angolo della mia testa appena ho iniziato a scrivere. Quando questo accade, e scopro un pensiero o un'apparenza inattesa, mi meraviglio e riesco anche a sentirmi felice, nonostante tutto.
Buonanotte, Emily. Ovunque tu sia.

mercoledì 11 marzo 2020

Secondo giorno

Questa sera fatico a iniziare il post sul secondo giorno in semi quarantena per la pandemia da COVID-19. E' ufficiale infatti, l'OMS ha dichiarato che siamo saliti al livello pandemico. Alle 16.00 di questo pomeriggio i contagi registrati erano 118.381 in 114 paesi. Facciamo cordoglio per 4.292 morti.
Il Presidente Conte ha appena annunciato ulteriori misure restrittive. Insomma, c'è molto tempo per riflettere ... Capiremo sulla nostra pelle in cosa consiste per esempio l'economia reale, quella mossa dal cittadino che tutte le mattine coraggiosamente va a lavoro, apre il suo negozio, il suo laboratorio, il suo studio, contribuisce alla produzione di beni e servizi. L'economia (il greco oikos, casa e nemo, amministrare) nel suo significato più antico consisteva nell'amministrare la casa, la famiglia, la particella più semplice di vita sociale. Ora siamo chiamati a una vita semplice.
Chissà che non ci accorgeremo degli sprechi e del superfluo che producevamo fino a qualche giorno fa. Chissà che non scopriremo il valore della lentezza, ma anche quel sentimento di solidarietà verso chi combatte in trincea, trattenendoci dal criticare e tenendo gli occhi puntati sul numero dei contagi, nell'attesa trepidante che diminuisca. Chissà che non riprendiamo a pregare ciascuno a modo suo il dio che conosce.
Ora abbiamo tempo, in questa sospensione del tempo, lo possiamo assaporare nel suo scorrere e forse puntando lo sguardo verso luoghi immaginari potremo addirittura scendere a patti con la sua tirannia.
"Guarda" dico alla mia amica Paura mentre questa mattina spalancavo la finestra, "guarda che splendido cielo azzurro e che sole. Guarda, un pettirosso, e lì c'è un corvo su quell'albero con un ramoscello per costruire il nido. Ogni cosa sembra occupare il suo posto, sembra avere un senso".

martedì 10 marzo 2020

Primo giorno

"E se usassi queste ore casalinghe come un'occasione? Sì, l'occasione di un viaggio tra emozioni, notizie, scoperte. E se giorno per giorno trascrivessi questo diario di viaggio?"
Così ho pensato alle 4.50 di questa mattina, quando mi sono alzata con l'angoscia per il futuro incerto, e sono andata alla finestra da cui una splendida luna mi raccontava il senso di impotenza che sta avvolgendo il nostro pianeta. Erano anni che l'umanità tutta non sperimentava l'esperienza totale della condivisione. Peccato che ci tocca condividere un virus, come un animale microscopico piombatoci addosso dalla preistoria per sconvolgere le nostre calde e ricche certezze. 
"Chi sei? che vuoi? Dai, mettiti qui e parlami della tua natura" le chiedo. Ha le forme di una donna coperta da un mantello il cui volto non ha occhi né naso né bocca. Il volto è nero, sconosciuto. Si siede accanto a me e pian piano mi calmo. So che esiste, è lì, ma silenziosa e docile mi fa compagnia.
E' la Paura. Torno a dormire e il sonno mi accoglie di nuovo senza resistenze.
"Tin". La sveglia, spostata in avanti di mezz'ora suona come una campana tibetana. Non devo alzarmi in fretta per la colazione, non c'è scuola e i ragazzi possono dormire un po' di più, non devo rifare i letti, avviare lavatrice e lavastoviglie per uscire di casa di corsa e andare a lavoro, perché basteranno pochi minuti per sistemarmi, sedermi alla scrivania del mio studio e lavorare a distanza... 
No, in realtà questo primo giorno di semi quarantena non è così ordinato.
"Tin". La sveglia, spostata in avanti di mezz'ora suona come una campana tibetana. Apro gli occhi a comando risorgendo dall'ipnosi. Guardo a lungo, girata sul fianco, la parete della stanza. Tutto sembra normale. La luce filtra tra le persiane ed è una bella giornata, esattamente come dicevano le previsioni meteo. Ma non sarà una giornata come le altre, perché insieme ai gesti che si muovono tra oggetti consueti (bollitore, caffè, tazzine, zucchero, cucchiaino, acqua calda e limone) ce ne saranno anche altri inaspettati, i quali allungheranno i tempi tra le azioni gettandomi in uno stato di sospensione, dissolvendo i contorni netti dei piccoli o grandi obiettivi quotidiani. Come possiamo spostarci? Dove possiamo o non possiamo andare? Devo mandare una mail ai miei clienti. Penso a quanto la vita di ognuno di noi sia, ora più che mai, legata alla vita dell'altro. Economia domestica globalizzata. Tutta l'operosità di una nazione - ma presto anche del resto del mondo - rallenta come se qualcuno avesse attivato lo slow motion, e spero con tutto il mio cuore che non si arresti in un'istantanea del passato.
Mi tengo lontana dalla voce delle notizie in TV. Se adoravo il telecomando per quel potere dispotico che mi consente di cambiare canale, di togliere la parola a questo e a quel politico, di far ammutolire gli opinionisti di professione, di impedire solo con un dito quella barbarica invasione sonora, ora lo considererò ben più di uno strumento, un vero e proprio membro della famiglia!
Sì, perché la pratica della scelta è fondamentale se si vuole sopravvivere alla debordante informazione, piuttosto che al coronavirus. Scegliere cosa ascoltare, cosa guardare, cosa leggere. Scegliere cosa scrivere nell'epoca dei social.
"Che ne pensi amica mia, Paura?" mi sorprendo a chiederle.