giovedì 26 marzo 2020

Diciassettesimo giorno

La strada che percorrerò oggi è quella di una città invisibile, in cui le cose non sono solo ciò che sembrano. Anche un virus, così piccolo eppure così mortifero, può in una simile città diventare un simbolo, uno strumento per ampliare la coscienza e per generare novità.
Partirei dalla parola, di origine latina. Virus è il succo delle piante, il veleno.
Qui alla mia sinistra ho un librone, intitolato Il libro dei simboli (Taschen editore); il VELENO è inserito nella sezione "Mondo spirituale" e nella categoria "Malattia e morte", insieme a MALATTIA, FERITA, VOMITO, MEDICINA, ANNEGAMENTO, CROCIFISSIONE, IMPICCAGIONE, ASSASSINIO/OMICIDIO, SUICIDIO, SEPOLTURA, BARA, CREMAZIONE, MUMMIA, DECOMPOSIZIONE, SMEMBRAMENTO. Insomma, lo trovo in un quartiere della città invisibile alquanto tetro e minaccioso. Si tratta quindi di una visita, di un confronto con un essere oscuro e subdolo. Esso è uno degli elementi che Paracelso, medico e alchimista del XV secolo, individua tra le cinque cause/entità della malattia: l'Ens Veneni. L'uomo, secondo Paracelso, è stato creato come gli animali privo di qualunque veleno (leggo "virus"), ma a differenza di essi può assumerlo attraverso il cibo: "L'uomo è soggetto alle malattie più degli animali allo stato libero, dal momento che questi vivono in armonia con le leggi della propria natura, mentre l'uomo si muove di continuo contro le leggi della propria natura, specialmente nel mangiare e nel bere. [...] L'organismo richiede un periodo di riposo e un rinnovo di forze per espellere gli elementi velenosi accumulati" (citazione tratta da Paracelso e la scienza dell'uomo, di C.G. Nuti, OM EDIZIONI). Devo ricordarmi che nella città invisibile le cose non sono solo ciò che sembrano; così come il veleno, virus latino, anche il cibo perde la sua naturale consistenza per diventare nutrimento sottile. Ma un nutrimento senza "armonia con le leggi della propria natura" produce la malattia dannosa per il corpo e, nella città invisibile, per l'anima.
Tuttavia, ciò che uccide è anche in grado di guarire. Il serpente - eccolo che sbuca da un angolo della strada di questa città invisibile - scivola nascosto tra le cose per colpire e rilasciare il suo veleno nel corpo del malcapitato. Il librone sui simboli, però, mi ricorda che nell'immaginario antico un malato poteva essere guarito trascorrendo la notte nella zona sacra del tempio dove viveva un serpente: "Esso rappresentava il demone di Asclepio, il dio della medicina degli antichi greci e ne incarnava la potente sostanza dell'anima, il veleno che rendeva le sue medicine, simboleggiate dal calice, efficaci". Il veleno contenuto in quel calice poteva costituire la bevanda capace di portare la guarigione, l'equilibrio e la condizione di "armonia con la propria natura".