domenica 31 luglio 2022

Specchi nel labirinto - IV

Mentre vedo la mia immagine assottigliarsi negli specchi, sento che questo luogo si fa sempre più angusto. Sono stretto in una morsa, come crocifisso. Il mio corpo è una voragine che mi risucchia le viscere. La forza dei miei muscoli non può nulla di fronte alle catene invisibili che mi costringono a terra. L’istinto, che mi suggeriva la chiarezza del gesto più spietato, balbetta ora i suoi ma, ritraendosi alle parole folli di Teseo. Così, muoio a causa di suoni invisibili - che siano maledetti - pronunciati dalla sua bocca. Ah, morirei in pace se solo lui sferrasse un colpo con la lancia che ha portato con sé, ma che ha gettato senza cura in un angolo, senza temere che io possa ucciderlo. Potrei, ma una oscura volontà mi impedisce il gesto più semplice.
Anche l’odio e il desiderio di vendetta per Teseo non sono bastati a conservare l’immagine di me nello specchio, perché la mia non è l’immagine di un animale. Io sono solo un mezzo animale, escluso dal regno delle bestie, nelle quali la ferocia più grande non raggiungerà mai la grandezza dell’odio umano. Perché solo gli uomini sono in grado di trasformare la forza cieca della natura nelle emozioni più spietate. La fame non è tanto malvagia quanto l’odio. Gli specchi del labirinto non mi riconoscono più. Ho perso me stesso e non c’è più motivo che io viva.
“Dove sei, amico mio!”
“Io non sono tuo amico. Ma l’ombra che non ha la forza di perseguitarti”
“Sì che lo sei. Grazie a te ho potuto vedere chi non sono e il mio compito sarà quello di liberarti da questo luogo e di mostrarti al mondo, al di là di ogni giudizio, senza vergognarmi di te. Vieni, andiamo. Tu sei il Minotauro e io sono Teseo. La follia ci ha riuniti”.


domenica 24 luglio 2022

Specchi nel labirinto - III

Devo ammettere che questo Teseo mi induce a pensieri inaspettati. Cosa accadrebbe al mio essere come sono se mi aggirassi per il mondo. Questo dedalo che mi tiene prigioniero, da un lato - è vero - mi priva di ogni libertà; ma allo stesso tempo mi protegge dagli sguardi altrui e dal giudizio che potrei formulare su me stesso. Mentre ora gli specchi mi restituiscono un’unica immagine, se uscissi da questo luogo, cosa accadrebbe a quella unicità? Si frantumerebbe in mille sfumature. Eppure, ero felice finché quest’uomo baldanzoso non ha fatto irruzione nella mia vita tutta immersa nel presente: nessun progetto, nessuna illusione. Solo la pura percezione della fame e del suo soddisfacimento. Sarebbe possibile per me una vita diversa da questa, che conosco sin dalla nascita? E alle possibilità che rendono inquieti si accompagna, ora, l’inquietudine della ricerca di un senso.
Esisto per fare di Teseo un eroe?
Quale sciagura mi sta cogliendo? l’immagine mia riflessa nello specchio si è fatta più sbiadita, come se anche io stessi sul punto di scomparire. I miei amici più lontani, dove sono? Dove siete andati? Mi state abbandonando! Ecco, siamo soli, io e Teseo che piange, rannicchiato sul pavimento come un feto che non sappia come si venga alla luce.
“Teseo. Teseo, guarda negli specchi. Tu mi hai allontanato dai soli compagni che avessi! Ti odio per questo! Ma prima che anche il riflesso della mia immagine scompaia del tutto nel nulla, ti dilanierò, strapperò uno alla volta i tuoi arti, ti colpirò con le mia corna, anche se non sarà per nutrirmi della tua carne maleodorante, ma per vendicarmi della tua audace crudeltà. Poi ti ruberò il filo e mi presenterò ad Arianna, e allora mi occuperò anche di lei!”
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domenica 17 luglio 2022

Specchi nel labirinto - II

Eccolo, è arrivato.

“Teseo! Ti aspettavo. Rilassati, non ho intenzione di divorarti. Voglio solo parlare con te, per il momento”

“Essere abietto, dove sei? Non ti vedo!”

“I tuoi occhi non possono vedere attraverso l’oscurità. Quindi dovrai accontentarti di sapere che sono a pochi metri da te solo attraverso la mia voce. Fino a quando mi sentirai parlare, saprai dove mi trovo. Al contrario, dovrai temere per la tua vita quando non udrai che silenzio, perché allora potrei essere ovunque: accanto a te, alle tue spalle, di fronte al tuo volto. A quel punto la lancia con cui pensi di uccidermi la brandiresti nel vuoto. Voglio però essere generoso con te”

“Non credo alla tua generosità. Un essere spregevole come te non sa cosa sia la generosità”

“Noto con disappunto che sei offensivo e sono stupito dei tuoi pregiudizi. Ci conosciamo appena e già mi assegni appellativi come abietto, spregevole. Vacci piano con le parole. Potrei perdere la pazienza. Non so se provo per te allegria o pietà”

“I miei non sono pregiudizi. Io so chi sei”

“Se sai chi sono, saprai allora che sono il frutto dell’amplesso di una regina e di un toro sacro. In fondo, le mie origini sono regali quanto le tue e anche divine, direi. Il tuo senso di superiorità è dunque fuori luogo”

“Ma tu sei un mostro! Sei un demone, non un dio”

“Beh, dipende dai punti di vista. Sono puro istinto. Sono tutto ciò di cui voi uomini avete il timore: la forza indomabile dell’animale da cui discendete”

“Sono gli dèi ad averci creati”

“Quelli che tu chiami dèi si sono divertiti a fare degli esperimenti. Avevano bisogno di manodopera, non certo di figli da coccolare”

“Che gli dèi possano avere pietà di te”

“Dai, su, non fare quella faccia. La tua espressione abbattuta mi lascia pensare che in fondo dietro al tuo impeto eroico si nasconda un bambino tremante e piagnucoloso che si è accorto di essere orfano, solo un trovatello e non il figlio desiderato”

“Io sono Teseo!”

“Sai che paura. Non farmi ridere. Credimi se ti dico che sarò generoso e volgiti verso la parete. Specchiati, dai, fa come ti dico. Bravo, così. Ora mi vedi?”

“Sì, sì, sei alle mie spalle! Ma, ma, perché non vedo la mia immagine?”

“Ora che fai? Piangi? Cos’è questo odore? Io non conosco quest’odore! Non è quello della solita paura”

“Dove sono? Chi sono io? Sono forse un fantasma? Di fronte a me non vedo che le immagini riflesse della solitudine, che si moltiplicano scavando nel mio cuore una voragine senza fine. Dimmi, essere sconosciuto, tu mi hai già divorato e sono ormai uno spettro?”

“Veramente, ancora non ho avuto il piacere di assaggiare la tua carne. Ma, emani un odore che non stimola il mio appetito. Troppo amaro. Non sei morto, senz’altro. Riconosco l’odore dei cadaveri, è disgustoso. E’ per questo che divoro le mie vittime quando sono ancora vive”

“Dunque, questo luogo infernale ha cancellato la mia persona? I corridoi di cui questo labirinto è composto non conservano le mie orme a testimonianza della mia venuta? Qui, il mio nome è solo puro suono disincarnato, un’ombra di cui il mondo conserva un vago ricordo, come quello di un uomo qualunque. Non un eroe la cui fama attraversa la terra, ma un essere sconosciuto a se stesso il cui destino è incerto e confuso, al confine della pazzia. E cos’è questo filo che tengo tra le mani?”

“Te lo ha dato quella poveretta che attende là fuori il tuo ritorno. E’ davvero cotta di te. E’ ignara di quanto volubile sia il suo eroe. Se solo sapeste quanto di voi è in colui che dite di amare alla follia, e quanto l’istinto è ammantato di sentimenti elevati! Siete innamorati solo di voi stessi. Ma sarebbe già qualcosa se quel legame vi rivelasse chi siete veramente, proprio come questi specchi. Allora riuscireste ad amarvi sul serio, senza intenzione, senza aspettative, senza richieste... Bah, ma sto diventando troppo sentimentale. L’amore non è affare che mi riguardi”

“Ah, già, è il filo che dovrebbe tirarmi fuori di qui”

“Sì, una volta che mi avrai ucciso”

“Non ricordo più. Perché dovrei ucciderti?”

“Ricominciamo daccapo? Perché devi porre fine ai sacrifici periodici dei giovani ateniesi, eccetera eccetera. Che noia!”

“Ora, in questo luogo oscuro, guardando in questo specchio, mi sento smarrito: non è più la tua figura di mezzo toro e mezzo uomo a indignarmi”

“Eh già, in quanto eroe, tu non provi paura come i comuni mortali, ma ti indigni. L’indignazione emana l’odore di pietanza scondita”

“Ti prego, non prenderti gioco di me. Non vedi che sono disperato? Tu sei abituato a rimanere nascosto, al riparo degli sguardi degli uomini. Ma io sono un eroe, uno che supera le prove con il suo coraggio e la sua prestanza. Io ero Teseo. Mentre ora sono una sagoma vuota allo specchio. Capisci?”

“Dunque l’amarezza del tuo odore è quello della disperazione”

“Non provi pietà di me?”

“Francamente, mi stai dando sui nervi. Sei venuto fino qui senza la carne viva, e neppure ho voglia di mangiarti dal momento che non stimoli il mio appetito. Non posso ucciderti perché altrimenti inizieresti a puzzare e questo luogo diventerebbe invivibile. Insomma, la tua presenza non è che un fastidio per la mia persona, e ora dovrei anche preoccuparmi della tua depressione”

“Aiutami, ti prego! Mi sento immobilizzato. Non posso uscire da questo labirinto avendo smarrito il mio volto e le mie fattezze. Sto per impazzire”

“Non impazzirai se avvolgerai il filo all’istante e tornerai da Arianna, che è in pensiero per te”. Se va via, mi fa un favore.

“Ah, come potrei uscire di qui senza averti prima ucciso. Oltre a non sapere più chi sono, mi coprirei di vergogna!”

“Allora prova ad uccidermi. Tornerai indietro con qualche ammaccatura che mostrerai come prova della tua lotta”

“Il punto è…”

“Qual è il punto?”

“Il punto è che non sono più sicuro di volerti uccidere. L’immagine di Teseo che i racconti degli uomini descrivono non è che un miraggio. Quello che vedo stando di fronte a me stesso in questo luogo non è che il nulla. C’è il nulla e ci sei tu.”

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domenica 10 luglio 2022

Specchi nel labirinto - I

Io sono il caos. Essere multiforme o senza forma, fate voi. Il mio tempo è quello del deserto, delle tenebre, dell’abisso. Non possiedo un tempo. Vivo l’eterno ritorno della fame e della sazietà. Sono il sovrano di un regno da cui mi è impossibile uscire. Gli intricati corridoi che si innervano gli uni con gli altri oltre le pareti di questa mia stanza desolata, sono come le radici di un grande albero che serrano la terra e la nutrono. Ma è il mio corpo di mostro, mezzo umano e mezzo animale la mia vera prigione. Chi mi trascinò qui, stese sulle pareti ampi specchi così che guardandomi, non dimenticassi mai chi sono. 
Ma, nonostante lo sguardo smarrito delle mie vittime e il loro ribrezzo di fronte alla mia immagine riflessa mi abbia insegnato cosa gli uomini intendano per male, non provo nessuna pietà. Né per me, né per loro. Lo specchio mi regala anzi una folla di amici che danzando fanno tutti insieme baldoria. Guarda come muovono i piedi agili, e che splendido attrezzo si erge tra le loro gambe. Che forza si sprigiona dai muscoli e dalle corna pronte alla carica. I nostri occhi sono grandi e bui. Lasciano intravedere l’abisso di cui è fatta la nostra sostanza. Ballate, amici miei, facciamo festa e beffiamoci dei pensosi uomini, delle loro convinzioni, della loro mestizia. Nascondono ciò che ritengono orribile. Poveri sciocchi, gongolanti nelle loro illusioni! Noi siamo qui, vivi e vegeti, semplicemente ingovernabili.
E semmai qualcuno si chiedesse se un essere abietto, quale io sono, possa provare qualche misero barlume di felicità, risponderò che sì, anche io sono in grado di essere felice. Come si può non essere felici, quando si è se stessi? Dunque, direi che sono felicissimo.
Ma ora, a forza di saltellare mi è venuta fame. Avete fame, amici miei? 
Sazio la mia fame con la carne tenera degli sfortunati costretti a inoltrarsi fra i corridoi intricati di questa mia dimora. Quando la forza del caos li risucchia verso il centro, io rimango immobile come una statua e li osservo seduto dal mio trono di pietra, godendomi lo spettacolo. Posso scrutarli con i miei occhi taurini attraverso l’oscurità, mentre strisciano lungo la parete di questo centro, come ciechi a cui sia stato strappato il bastone. Le mani sudate toccano i muri senza trovare appigli, indizi di speranza, una via di fuga. Percepisco, allora, l’odore pungente della paura e mi viene l’acquolina in bocca.
Ma caspita! Questo mio piacevole gozzovigliare è stato interrotto da un omuncolo che si crede un eroe. Mi faccio una bella e grassa risata. Dove mi ero interrotto? Ah, sì, a quando fa il suo proclama:
“Padre, andrò io e metterò fine al dolore!”
“Teseo, è con un mostro abominevole e vorace che dovrai confrontarti. Che gli dèi possano guidare la tua mano ed essere favorevoli a questa impresa disperata”.
Gli dèi! Ehi? Mi sentite, padre e figlio? La bontà degli dèi è un’altra delle vostre illusioni e vi coprite gli occhi di fronte al loro più orribile aspetto. Quando poi non potete liberarvi di quella immagine spaventosa, la nascondete nei recessi più bui. Proprio come avete fatto con me.
Non sono forse anche io un dio? Non destinate anche a me le primizie delle vostre case? Carne tenera e succosa, impregnata di quella paura che rende saporito il sangue. Affondo la mascella nei corpi ancora vivi e un'ebbrezza mi invade. Il piacere sublime della fame quando è soddisfatta si propaga in ogni fibra del mio corpo. 
[…]

domenica 26 giugno 2022

La fama: quel sonetto dimenticato di Giacomo Leopardi

Leopardi, il grande Leopardi dubitava di se stesso. Lo dice a vent'anni in un sonetto, Letta la vita di Vittorio Alfieri. E' difficile immaginare che l'autostima di Leopardi fosse così precaria. Oggi facciamo corsi sull'autostima perché riteniamo che la sensazione di non essere all'altezza non sia propriamente una virtù. E se invece, quel sentimento così sgradito a una società efficiente e super informata fosse la salvezza per il futuro di questo pianeta, come lo è stato per la scrittura di Leopardi?
Peccato che quel sonetto sia pressoché assente nei manuali di letteratura italiana delle scuole superiori costruiti, a torto o a ragione, su basi statistiche: gli autori più importanti, le opere più famose, le teorie più diffuse. Si tratta di un insieme di informazioni che, nel gettare senz'altro le solide fondamenta della cultura, sorvolano sul ruolo dell'eccezione a vantaggio dell'eccezionale, del pensiero nella sua fase nascente quando, intento a sperimentare, è invaso dal senso profondo di inadeguatezza. Peccato, perché l'eccezione, oltre a confermare la regola, è il seme che fa avanzare la conoscenza di sé e del mondo. Così si studiano le teorie, le definizioni, i risultati, ignorando la percezione dell'approssimarsi alla verità senza mai raggiungerla completamente, ignorando il dubbio che scorre sotterraneo alla radice di ogni conquista scientifica. Non c'è da meravigliarsi se siamo disorientati perciò dalla medicina che di fronte a una nuova pandemia non ha risposte certe da dare al mondo. Chissà che questa esperienza collettiva non getti le basi per un'educazione al sentimento della sperimentazione, che ci salvi dalla hybris così dilagante nella nostra epoca apparentemente iperconnessa.  
Il nozionismo è utile se bilanciato dalla consapevolezza che niente di ciò che pensiamo di sapere, che la scuola ci induce a credere di sapere, è nato nella forma in cui ci viene presentato. Ha subito una gestazione, una evoluzione, un tormento tali da da renderlo davvero degno di trasmissione. Così anche la scrittura di Leopardi, prima di diventare matura, ha sostato nella terra di confine del dubbio, dove l'incertezza rispetto alla possibilità di lasciare un segno del passaggio su questa terra produce lo sgomento dell'anonimato. 
Ecco che quel sonetto del giovane poeta è testimone della ricerca ancestrale di un Nome. Alcune notiziole su l'antefatto della sua acerba prova letteraria ce la dà lui stesso: lo ha scritto di notte, prima di prendere sonno. Ha appena concluso la lettura della Vita di Vittorio Alfieri. Nel letto, quando i fatti della giornata sfilano davanti ai nostri occhi per poi essere risucchiati nel buio, ci ripensa. Confronta quella sua propensione alla rima, quella "facilità" con cui si prende la briga di comporre versi, con l'opera di Alfieri e dice a se stesso senza mezzi termini: "dalla mia penna non uscirebbe mai sonetto". Appena lo afferma però, si contraddice. Almeno questa volta. 
Leopardi sente di essere inadeguato alla grandezza. Nessuno penserà, un giorno, di visitare la sua tomba. Ma è in balia del suo daimon e osa. Si immerge in se stesso e nella vita, attraverso il sentimento, il pensiero e i libri. E' così che riuscirà a intonare il suo canto duraturo, patrimonio comune; nonostante giunga a negare - ironia della sorte - che l'uomo possa davvero compiacersi dell'immortalità. Scriverà ne La ginestra: "ma più saggia [la ginestra ndr], ma tanto / meno inferma dell'uom, quanto le frali / tue stirpi non credesti / o dal fato o da te fatte immortali".  Il suo sarà un viaggio sincero e spietato verso la condivisione della parola, in grado di parlare a ogni individuo di ogni epoca. Il cruccio per una fama irraggiungibile non prenderà le forme morbose di un sospirato riconoscimento, ma esprimerà la volontà di collegarsi alle sorti dell'uomo. Se magnifiche e progressive staremo a vedere.

domenica 12 giugno 2022

La voce della luna nel rumore della guerra

Sono giorni rumorosi i nostri. E' un po' che il cielo sopra casa mia è percorso da pesanti aerei che vanno avanti e indietro. Sono grossi elefanti grigi che nascondono nel loro ventre chissà quali stratagemmi mortali. Il suono, che parte da lontano, sembra risucchiare l'aria per aprirsi un varco. Quindi il rombo si fa costante per poi ammutolire all'orizzonte. Altre volte sfrecciano veloci e snelli, trasportando forse capi di stato o ambasciatori. Sono cieli rumorosi i cieli di questi giorni. Ma, per sentire la voce della luna, imperturbabile e indifferente al traffico aereo, per capire le voci di un altro mondo serve il silenzio. Questo è il suggerimento che conclude La voce della luna di Federico Fellini. 
Nel nostro tempo di guerra sembra non esserci spazio per la poesia, per le voci che traboccano dai pozzi per riversarsi nella realtà. Voci che i "lunatici" odono al di là del rumoreggiare del mondo. Quelli che definiamo genericamente "malati", a cui per pudore intellettuale assegniamo ogni sorta di appellativi, sono i custodi della poesia, i profeti, gli strumenti con cui il mondo misterioso della nostra anima o della nostra psiche intona la sua musica. Sono voci che non devono essere "capite", ma semplicemente ascoltate. 
E' una follia desiderare che le armi tacciano affinché la luna torni a parlare?