mercoledì 29 aprile 2020

Il Web e il labirinto

Forse quest'anno in modo particolare per la condizione di isolamento in cui ci troviamo, vale ricordare che il 30 aprile del 1986 Internet fece il suo ingresso in Italia. Qualche anno dopo, il World Wide Web entrò nelle nostre case e da quel momento la parola connessione divenne più che mai familiare e dominante nella vita di ognuno.
In un battito d'ali posso trovarmi virtualmente nell'altro capo del mondo, con l'opportunità inestimabile di stabilire un contatto con chi altrimenti non avrei mai conosciuto. Nel silenzio di un'abitazione posso aprire molteplici porte e lasciare che suoni diversi inondino lo spazio. Posso intraprendere qualsiasi direzione, avanzando attraverso i link con svolte o rotatorie. Sono le quasi infinite possibilità di movimento che mi incuriosirono e mi affascinarono la prima volta che sentii parlare di questa straordinaria ragnatela globale su cui saltare da un filo all'altro senza paura di cadere.
Tuttavia, non posso ignorare la contiguità fra la "rete" e il labirinto. Inoltrandosi in questo luogo apparentemente senza confini, con il tempo si ha la sensazione però di ripercorrere sempre gli stessi sentieri, in un gioco di specchi che disorienta. Qual è allora il filo che impedirà al ragno posto al centro delle "ragnatela" - sempre che un centro esista - di divorare il mio senso critico? Credo sia l'esercizio della scelta, il girovagare cioè srotolando un'idea o un'immagine che si siano affacciate alla coscienza. Non cliccare sul tutto, leggere tutto, ascoltare chiunque, acquistare qualsiasi oggetto che improvvisamente mi viene proposto, credere a ogni notizia pubblicata, ma scegliere cosa cliccare, cosa leggere, cosa ascoltare, cosa acquistare, la notizia in cui credere. Scegliere per districare la matassa altrimenti ingarbugliata delle connessioni.

sabato 25 aprile 2020

Il deserto e il labirinto

Qualche giorno fa ascoltavo un noto giornalista che si scagliava contro un noto politico e ironizzava sul ricorso frequente di quest'ultimo a quello che ha definito "elenco della spesa". Pare non gradisse lo stile elencazione. Non so perché di tutto il suo ragionamento - che per altro condividevo - questa parentesi beffarda si sia depositata nella mia testa per diversi giorni, fino a sentire il bisogno di richiamarla in un post.
Lo stile elencazione ha una sua precisa funzione: quella di fare breccia in un muro con un susseguirsi costante e ritmico di colpi, fin quando non si riesca a guardarvi attraverso. Non è da bistrattare - rispondo al mio giornalista scanzonato - se oltre il muro esiste un'idea.
Vengo così all'argomento di questo post, ricorrendo all'uso sfacciato del Dizionario dei sinonimi e dei contrari che, insieme a quello Etimologico, sono i libri che forse più mi affascinano e che ricorrono allo stile elencazione. Le parole somigliano ai colori di una tavolozza, definiscono un concetto e gli conferiscono una particolare sfumatura, andando dai toni più chiari a quelli più scuri. Prendiamo, per esempio, le parole deserto e labirinto.
Deserto. L'etimologia rimanda al latino desertum, abbandonato, solitario; dall'unione del prefisso "de-" privativo, e il participio passato di "serere" nel significato di seminare. Si tratta quindi di un luogo senza vita, disabitato, vuoto, incolto, desolato, selvaggio, arido. Nel significato più esteso e che richiama le sensazioni a esso associate troviamo: mortorio, desolazione, solitudine.
Labirinto. In questo caso il significato originario è duplice. Il greco "labyrinthos" è il nome del palazzo di Minosse a Creta, ma è anche il palazzo della bipenne, simbolo del potere regale minoico: luogo ("-inthos") dell'ascia ("labrys"). Tra i sinonimi: dedalo (dal suo costruttore), intrico di vie, di passaggi, groviglio, meandro, luogo sinuoso, rete, ginepraio, imbroglio, garbuglio.
Cosa è comune a entrambi?
In un racconto di Jeorge Luis Borges, I due re e i due labirinti, il labirinto e il deserto sono espressione del potere, l'uno del re di Babilonia, l'altro del re di Arabia. Sono luoghi della perdita e dell'abbandono.
Altrove, nel mito di Teseo e nei racconti biblici, sono invece spazi di trasformazione.

mercoledì 22 aprile 2020

Il cercatore di idee

Mi capita spesso di pensare a cosa rimarrà fra qualche secolo di questo nostro mondo virtuale, dei nostri post, dei nostri video, dell'intera rete di condivisione. Allora gli uomini del futuro guarderanno al periodo storico che stiamo vivendo in un punto nel tempo abbastanza distante da osservare le cose con il giusto distacco. Oppure, immagino che civiltà aliene, intercettando i flussi di dati che viaggiano sul web, si sforzino di ricostruire la nostra civiltà e di elaborare un'ipotesi su chi siamo.
Quando scrivo questo blog, penso sempre naturalmente ai possibili lettori. Il lettore potenziale è il destinatario dei pensieri costellati nei post. Ma egli veste anche gli abiti del giudice, che severamente clicca, severamente scorre le parole, severamente emette il suo verdetto. Se scrivo su un blog pubblico, è evidente che sono interessata al numero di utenti connessi, alle pagine visitate, al tempo di permanenza sui singoli contenuti. Pian piano, però, dal progetto di un book-blog sperimentale quale vorrebbe essere il mio, mi accorgo che l'attenzione si sposta sulle statistiche, sulle medie, sulla necessità di accumulare visitatori. Appunto visitatori, non lettori.
Questo mio blog è rimasto per molti mesi completamente muto, fino a quando senza retropensieri ho deciso di scrivere il diario di una semi quarantena. Quale era il mio lettore immaginario? Forse proprio un alieno, inteso come colui che viene da un altro mondo. L'altro mondo non è necessariamente un pianeta diverso dalla terra, ma il sistema di pensieri immagini emozioni specifico di quel preciso e unico lettore, che curiosamente si affaccia in un contenitore per frugarvi e pescare idee, non per essere tranquillizzato o coccolato o convinto o fidelizzato o sedotto. E' il lettore che aiuta la scrittura a svolgersi e insieme compie il suo destino di cercatore.
Caro lettore, chiunque tu sia, che tu stia leggendo dal futuro, da un'altra galassia, da una scrivania in qualche parte del globo al tempo del Covid-19, questo blog è un esperimento, che consiste nell'affiancare parole, immagini, simboli e nell'osservare cosa accade, quale impressione ed effetto - che non sia un dato statistico - si produce. E' il laboratorio alchemico di un apprendista. Non ci sono definizioni né formule magiche; nulla che abbia la minima parvenza di verità definitiva. Troverai percorsi possibili, mappe ipotetiche di città invisibili, labirinti la cui via di uscita non è detto che esista, deserti nei quali sperimentare la solitudine. E' solo e niente più di un blog.

sabato 18 aprile 2020

Quarantesimo giorno

QUARANTA

"Questa lettera [la lettera ebraica Mem n.d.r.] evoca l'idea di una matrice e rappresenta il grembo della donna che possiede la capacità naturale di dare la vita. Mem rappresenta anche il ripiegamento verso l'interno per trasformarsi, la forza centripeta [...]. E' il principio riformatore della vita attraverso trasformazioni successive che genera un movimento vitale perpetuo"


"[...] Il suo  valore numerico 40 compare sistematicamente nella Bibbia per specificare un isolamento e una trasformazione (la traversata del deserto). Questo valore indica il tempo necessario per compiere un processo di maturazione che porta a fruttificare tramite la purificazione. [...] Una durata temporale espressa dal numero 40 corrisponde a un periodo di mutazione e di trasformazione per accedere a un cambiamento radicale"
(G. Lahy, L'alfabeto ebraico, Venexia, 2008)

"E' il numero dell'attesa, della preparazione, della prova o del castigo. [...] Si può dire che gli scrittori biblici descrivano la storia della salvezza dotando di questo numero gli avvenimenti maggiori"
(J. Chevalier, AGheerbrant, Dizionario dei simboli, Bur, 2018)

"Il quaranta, antico numero della preparazione, occupa un ruolo rilevante nella mistica islamica: il periodo di quaranta giorni è particolarmente importante per il sufismo, in quanto una clausura di quaranta giorni, grazie a una costante meditazione, porta più vicini a Dio"
(F. C. Endres, A. Schimmel, Dizionario numeri, edizioni red!, 2006)

ESAGRAMMA 40. Hsieh - La Liberazione

LA SENTENZA
La liberazione. Propizio è il Sud-Ovest.
Quando non vi è più luogo ove doversi recare,
il ritorno è salutare.
Se vi è ancora un luogo dove si debba andare,
allora è salutare la rapidità.

L'IMMAGINE
Tuono e pioggia arrivano:
l'immagine della liberazione.
Così il nobile perdona gli errori e rimette le colpe.
(I Ching, a cura di R. Wilhelm, Adelphi, 2012)




giovedì 16 aprile 2020

Trentottesimo giorno

La generazione del deserto abbandonò l'Egitto e si liberò dalla schiavitù per raggiungere la terra promessa...
La chiamata. Per gli ebrei arrivò il momento di andare via dal paese che inizialmente li aveva accolti e protetti, ma che poi li aveva resi schiavi. Gli ebrei erano chiamati a nascere di nuovo e Mosè, chiamato anche lui, sarebbe stato il loro condottiero. La fuga è il parto, e il travaglio sono le piaghe inflitte agli egiziani, è il dolore che prepara la gioia.
Ma gli ebrei non sono i buoni e gli egiziani i cattivi, anche se tutto lascia intendere questo. Il mito perde valore e vitalità se nel leggerlo ci si aggrappa alle consuete categorie morali. Il mito, come i grandi sogni, esprime simbolicamente un'unità verso cui tendere attraverso un'iniziale frammentarietà. Egiziani ed ebrei, Mosè e il Faraone, sono aspetti, funzioni, tendenze di uno stesso soggetto: l'Eroe, o chi diventerà tale strada facendo.
Il futuro Eroe, è chiamato a liberarsi dell'ego, della presunzione di essere Dio. Scopre, piaga dopo piaga, che non può più controllare e disporre della terra, dei suoi simili, della natura che anzi gli si rivolta contro. Apprende che le ricchezze non sono sufficienti a donargli la sicurezza. A nulla valgono i rimedi noti, perché ogni certezza sembra sprofondare infine nelle tenebre. Le tenebre sono la penultima piaga, fitte e pesanti; preludio al culmine dell'angoscia. Più sarà ostinato nel rifiutare l'appello, maggiore sarà l'incubo che lo inseguirà. Il confronto con la morte nell'ultima piaga lo convincerà che non può vincere con il destino di liberazione che lo attende. Ebbene, si abbandoni pure la forza, il potere, la grandezza e si inizi il viaggio folle del rinnovamento! Allora l'Eroe fugge incontro al futuro. Ma l'incertezza del procedere lo costringe a guardarsi indietro. Il suo passato lo insegue e solo un miracolo può aiutarlo, solo cioè la fiducia nell'impossibile gli consentirà di attraversare il mare senza esserne travolto. In quel passaggio, nell'avanzare verso la nascita abbandona il passato, risucchiato invece dalle acque. Però, il suo viaggio non è ancora compiuto, perché di fronte a sé trova il deserto.

mercoledì 15 aprile 2020

Trentasettesimo giorno

Scrive Joseph Campbell nel suo libro L'eroe dai mille volti:
"Né sarebbe esagerato affermare che le inesauribili energie del cosmo si manifestano nella cultura umana proprio attraverso il mito. Le religioni, le filosofie, le arti, le forme sociali dell'uomo primitivo e storico, le scoperte scientifiche e tecniche, gli stessi sogni che popolano il sonno, scaturiscono indistintamente dalla fonte magica del mito. [...] i simboli della mitologia non si fabbricano, non si possono inventare, controllare, o abolire per sempre: sono produzioni spontanee della psiche e ciascuno ne conserva intatto il potere germinativo. Qual è il segreto di queste immagini eterne? Da quali abissi della mente umana scaturiscono? Perché le mitologie sono ovunque le stesse, anche se rivestite di forme diverse? E che cosa ci insegnano? [...] La mitologia e il rito hanno sempre avuto la fondamentale funzione di fornire i simboli che aiutano il progresso dello spirito umano, da contrapporre a quelle altre immagini costanti che tendono ad arrestarlo. [...] Solo la nascita può vincere la morte - la nascita di qualcosa di nuovo. Per poter sopravvivere, deve verificarsi nell'anima, nel corpo sociale, una nascita continua (palingenesi) che annulli l'incessante opera della morte. Senza questa costante rigenerazione, le nostre vittorie non saranno che strumenti della Nemesi: la nostra virtù reca in seno la nostra condanna" (ed. Lindau, 2012, dal "Prologo").
Raccontare "di nuovo" il mito, e il rito in esso custodito, significa liberare energie primordiali. Significa scegliere, invece delle immagini statiche di un mondo preconfezionato per essere consumato e poi gettato via, l'immagine della vita che si ricrea.

martedì 14 aprile 2020

Trentaseiesimo giorno

La generazione del deserto abbandonò l'Egitto e si liberò dalla schiavitù per raggiungere la terra promessa...
E' interessante il fenomeno secondo cui il testo biblico, a differenza di altri libri dell'antichità, conserva per molti un valore letterale che, se da un lato potrebbe indicare una fede incrollabile, dall'altro ne limita fortemente l'effetto, in particolare in contesti laici. Le vicende bibliche rimanendo vincolate alla storia, garante della verità, difficilmente sono accettabili da chi non è direttamente coinvolto. Gli ebrei, o i cristiani che generalmente considerano quei fatti come realmente accaduti in quanto prodromici dell'era inaugurata da Gesù, sono portavoce di un passato in grado di configurare una loro precisa identità. In questo modo, il resto dell'umanità ne risulta esclusa, a meno di una conversione. Tuttavia, quelle stesse narrazioni se caricate, non di realismo, ma della forza che scaturisce dal mito, possono davvero parlare un linguaggio universale che travalica i confini delle nazioni, dei popoli,  delle professioni di fede e delle tradizioni. Il grande limite delle confessioni religiose è forse proprio la continua tensione verso la definizione di sé, la circoscrizione di precisi confini e perciò la caduta nel paradosso: la divinità per sua natura senza principio né fine, non contenibile in una forma, è simile in modo imbarazzante ai suoi stessi fedeli.
Se, invece, si sospende il giudizio storico - "è accaduto e perché", o "non è accaduto" - e si leggono quegli eventi come mitologici, ecco che i muri crollano e i significati si espandono a beneficio non dell'identità, ma dell'individuazione. L'identità, in fondo, è un compromesso perché implica l'appartenenza a un genere o a un gruppo. L'individuazione è invece un ampliamento della coscienza, un superamento delle definizioni. 
Il mito non nega la storia, ma anzi la eleva a simbolo. Perché la storia, sia personale che collettiva, non sempre è maestra di vita? Fra quattromila anni, come verrà interpretato il momento che stiamo vivendo dall'umanità o da qualche altra forma di vita intelligente che avrà preso il suo posto? Oppure, a cosa può servire la storia dell'antichità oltre a farci stupire - nella migliore delle ipotesi - e ad affollare le teche dei musei? Il tempo è come un diluente, che man mano riduce la concentrazione di partecipazione razionale ed emotiva ai fatti: più mi allontano, più dimentico. Il rito ha la funzione di rinnovare la memoria, ma l'abitudine alla ripetizione è l'altro inganno da cui guardarsi.
Come se ne esce?
Attraverso il racconto reiterato del mito. Raccontando "di nuovo" si salva il simbolo, e con esso anche la storia.

domenica 12 aprile 2020

Trentaquattresimo giorno

Questa non è stata per me una Pasqua come le altre, passate tutto sommato inosservate dal momento che non sono religiosa nel senso comune che si dà a questa parola.
Più volte nel corso della giornata ho pensato alla "generazione del deserto"; quella generazione di ebrei che riuscirono a fuggire dall'Egitto, dopo aver atteso di notte il "passaggio dell'angelo", per il quale gli egiziani persero i loro figli. Il "passaggio dell'angelo" divenne così la Pasqua ebraica, il tempo della liberazione dalla schiavitù.
Se si sottrae all'evento la peculiare connotazione storica, rimane un simbolo, e come tale valido per l'intera umanità. Gli ebrei diventano una collettività alla ricerca dell'identità più profonda. Il primo passo è liberarsi dalla hybris, e poi prendere coscienza di portare in sé l'umano e il divino insieme.


sabato 11 aprile 2020

Trentatreesimo giorno

La porta si apre in una biblioteca. Due poltrone al centro, una di fronte all'altra. Lungo le pareti svettano scaffali colmi di libri: in piedi, sdraiati, liberamente disposti; qualcuno ha imposto loro un ordine casuale. Oltre le poltrone c'è il lago. L'ampia finestra lascia penetrare luce e colori rassicuranti. Zurigo è immersa nell'ameno procedere di barchette che scivolano sull'acqua, inconsapevoli del dramma dell'uomo quando si confronta con Dio.
Seduti sulle poltrone sono il dottor Jung e Giobbe. Giobbe è spaventato: ha scorto la doppia natura di Dio. Ha sentito le sue ossa frantumarsi sotto i colpi spietati di quella natura, e ha gridato al cielo in attesa dell'aiuto di Dio contro Dio. Ma ora vuole capire. Il male non è assenza di bene - suggerisce Jung, che si è inoltrato negli abissi della psiche facendosi largo tra le ombre - ma entrambi abitano la stessa casa.
Il dottore osserva Giobbe, mentre il fumo della sua pipa si mescola allo spirito dei tempi e si chiede come l'uomo dei nostri giorni, allevato ed educato cristianamente, reagisce alle oscurità divine che gli si palesano nel tuo libro, Giobbe? E nella vita.
Il poveretto, preme con tutto il peso del corpo sullo schienale della poltrona, chiude gli occhi e si abbandona al dolore, stringe con le mani i braccioli per non precipitare. Cos'è questo male che sconquassa il cuore, come un regno saccheggiato e messo a ferro e fuoco? Dove si è nascosta l'infinita giustizia di Dio? E perché la sua infinita potenza vuole annientare un verme come è l'uomo?
Dalla radio in sottofondo un grido interrompe bruscamente la dolce musica: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?
Il dottor Jung risponde a Giobbe:
"Tu sei stato scelto per mostrare nella tua carne l'antinomia di Dio a Dio stesso, incosciente della sua duplice natura. Con te la consapevolezza di questo fenomeno ha avuto inizio. Era già deciso sin dall'inizio che la storia umana non avrebbe rappresentato altro che l'incarnazione di Dio, di cui il Cristo è una realizzazione: il divino si è unito all'umano. L'uno non può prescindere dall'altro".
Giobbe è dunque riabilitato. Può tornare a vivere.

(Suggestioni dal libro Risposta a Giobbe di C. G. Jung)


venerdì 10 aprile 2020

giovedì 9 aprile 2020

Trentunesimo giorno

Oggi mi sono imbattuta in un "paesaggio molecolare"...
I concetti di macrocosmo e microcosmo risalgono all'antichità: il tutto contiene ogni parte e ogni parte contiene il tutto. Le indagini esoteriche nella storia si sono spinte in territori nascosti a una visione grossolana della realtà. Così gli alchimisti studiarono la trasformazione della materia, come volendo cogliere in essa le tracce dell'anima. Questa ricerca filosofica si è trasformata in ricerca scientifica, la quale ha condotto l'umanità fino alla soglia da cui poter sbirciare e catturare le immagini del nanocosmo, l'infinitesimamente piccolo. Questo territorio oggi è battuto in lungo e in largo, alla ricerca della migliore soluzione al Virus del momento. Ma, insieme alla conoscenza cartesiana si allena una visione sempre più sottile della materia. L'arte - che come ogni simbolo non conosce il pensiero univoco - è la traghettatrice di tali esplorazioni, verso lo sguardo umanamente possibile. L'arte da sempre è anticipatrice di conoscenze future. Per questo non va ignorata, ora più che mai.

https://creativecommons.org/licenses/by/4.0/


martedì 7 aprile 2020

Ventinovesimo giorno

Per caso oggi mi sono imbattuta in un articolo della prestigiosa rivista Science. Ho pensato: ecco un caso interessante di introvisione!
L'introvisionario usa l'intuito e non teme gli sconfinamenti tra territori diversi. Sebbene possa ricorrere a un approccio scientifico tuttavia il suo sguardo, poiché è rivolto al "dentro" e il "dentro" non è rigidamente suddiviso in categorie come la realtà, è in grado di cogliere nuove possibilità. Così, in quanto sperimentatore, l'introvisionario sperimentando, osa.
Ebbene, mentre sono al computer sto ascoltando l'audio di una musica, in cui intervengono diversi strumenti: campane che suonano, corde che vibrano, flauti. Somiglia a una musica per rilassarsi, ma proseguendo il ritmo si fa discontinuo. Questi suoni sono i componenti tradotti in musica della proteina spike del coronavirus, la corona appunto con cui l'ospite si aggancia alla cellula. E' il risultato di un esperimento di alcuni ricercatori del MIT (Massachusetts Institute of Technology). L'articolo prosegue spiegando il modo in cui si sono ricavati i suoni e la possibile utilità nella ricerca farmacologica.
Ma al di là dei complicati risvolti scientifici, nella sequenza di note quale messaggio immaginario è nascosto?

domenica 5 aprile 2020

Ventisettesimo giorno

"Credo di essere naturalmente religioso," dice Fellini "perché il mondo, la vita, mi sembrano avvolti di mistero. E anche se fin da bambino non fossi stato affascinato da questo sentimento mistico che si proietta sull'esistenza e rende tutto inconoscibile, credo che il mestiere che faccio mi avrebbe naturalmente condotto verso un sentimento religioso. Faccio un sogno, oppure a occhi aperti mi abbandono a immaginare qualcosa, e poi firmando un contratto, con un po' di legname, due belle ragazze e un paio di riflettori, riesco a materializzare quel fantasma, e tutti possono vederlo come l'ho visto io mentre dormicchiavo o non pensavo a niente. Chi ci guida nell'avventura creativa? Soltanto la fiducia in qualcosa o in qualcuno nascosto dentro di te, qualcuno che conosci poco, che si fa vivo ogni tanto, una tua parte sorniona e sapiente che si è messa a lavorare al posto tuo può aver favorito la misteriosa operazione. Tu l'hai aiutata questa tua parte inconscia dandole fiducia, non contrastandola, lasciando fare a lei. Questo sentimento di fiducia credo che possa definirsi sentimento religioso.
La presunzione, l'erudizione, l'egoismo, la smania di saperne di più, la falsa cultura, molto spesso blocca questa fiducia, l'obbligano a ritirarsi, a dissolversi, e allora quasi sempre accade che i risultati siano meno soddisfacenti" (F. Fellini, Intervista sul cinema, Editori Laterza, 2004, p. 70-71).

sabato 4 aprile 2020

Ventiseiesimo giorno


C’è chi insegue la realtà, volendo stare al passo. Voglio aderire alle cose, percepirle nella loro concretezza. Voglio sapere quello che accade fuori, ma soprattutto dentro la rete. Inseguo allora le notizie, che esplodono in pop up e banner come a carnevale quando si lanciano i coriandoli. Inseguo i commenti e le opinioni. Confronto i numeri fotografati del passato con quelli fluttuanti del presente. Le informazioni lievitano inarrestabili facendo a gara, quanto a velocità, con la diffusione del virus.
In tutto questo e molto di più consiste la sensazione che i nostri occhi non debbano far altro che condurre la mente nelle strade affollate di altri occhi e di altre menti, per rimanere ancorati al mondo. E dal mondo attirati. Come se, solo in quella piazza gremita di occhi e menti consista la realtà di cui occuparsi.
Ci sono poi gli introvisionari. Sono coloro che seguono altri echi e che si attardano con questioni che ai più potrebbero sembrare banalità. Sono i poeti, gli scrittori più schivi, gli artisti che osano a costo di essere fraintesi. Sono quelli che riempiono gli spazi lasciati vuoti dalle cose reali, dalle notizie, dalla storia ufficiale e riescono, grazie al dono di occhi che non fuggono verso fuori ma che procedono nella direzione opposta, a spingere in avanti la coscienza.
Uno di questi introvisionari è stato Federico Fellini. Dice di se stesso negli anni 1941-43, in un libro intervista, a proposito della guerra: "Devo confessare, purtroppo senza arrossire, che tutto quel che dicevano non mi riguardasse affatto: non riuscivo a capire che cosa avremmo dovuto fare. E anche se potevo immaginare la necessità di atteggiamenti di cospirazione e di rivolta, come avremmo potuto organizzarla?" (F. Fellini, Intervista sul cinema, Editori Laterza, 2004, p. 47). La sua natura di introvisionario non lo sintonizzava con la storia - seppure dolorosa per molti - perché il suo compito era quello di mostrare su uno schermo immagini nuove. Così, il fascismo di Amarcord ha i contorni deformati del sogno, oscilla tra un grandioso paternalismo e la visione ingenua di un bambino, che ne esalta la banalità. E a pagina 45 dice di Kafka: "Kafka mi emozionò profondamente. Rimasi colpito da questo modo di affrontare l'aspetto misterioso delle cose, la loro indecifrabilità, il senso del labirinto, del quotidiano che diventa magico".

venerdì 3 aprile 2020

Venticinquesimo giorno

Di ritorno da una passeggiata ideale in una campagna immaginaria, passando per un campo fitto di margherite bianche e gialle, assaporando l'aria profumata e accarezzando con lo sguardo il cielo di un azzurro infinito, circondata da tutte quelle condizioni atmosferiche raccolte nei disegni dei bambini quando sono felici, arrivo davanti alla porta di casa. La apro, attendo qualche minuto prima di entrare, per sfilarmi le scarpe ricoperte di uno strato sottile di terriccio. Quindi varco la soglia e lascio che la porta si chiuda alle mie spalle. Il silenzio riempie la stanza. Eppure di tanto in tanto sembra che qualcosa gli sbatta contro. Insiste per un po', si interrompe, per poi ricominciare. Cerco intorno a me. Tutto, compreso il silenzio, è al suo posto. Nulla è mutato e ormai la passeggiata potrei dirla simile a un sogno. Ma all'improvviso il mio occhio mi strattona di qua e di là, all'inseguimento di una piccola ape ronzante che è cascata, spinta chissà da quale istinto, nella rete della porta aperta di casa mia.
Però il suo verso non è quello solito delle api. Sembra piuttosto una parola: in-tro-vi-sio-ne.
L'ape ha fiutato uno spiraglio nella finestra semi aperta e fugge via.
Introvisione  riassume il senso di questo tempo trascorso, non solo in casa, ma in un "dentro" che può essere portatore di immagini. E dalla combinazione delle immagini, si sa, nasce il racconto. Come dai suoni la musica.



mercoledì 1 aprile 2020

Ventitreesimo giorno

Scacco matto. Il re è atterrato lasciando il tassello della scacchiera vuoto. Nonostante tutte le nostre previsioni e prevenzioni, nonostante la nostra ricchezza e le nostre certezze, questo virus ha fatto scacco matto alla nostra civiltà. Tuttavia, come fa notare Marco Polo a Kublai Kan, sovrano di un grande impero, che assiste sgomento al fine ultimo della partita, il nulla, in quel tassello di ebano o acero c'è ancora una storia da mandare avanti, nel perenne andirivieni di passato e futuro, di ciò che stato e di ciò che sarà.
E proprio la storia in questi giorni è stata evocata. Oggi si sta svolgendo una pagina da affiancare ai grandiosi drammi dell'umanità:"Cari amici tedeschi con il coronavirus la storia è tornata in Occidente. Dopo trent’anni in cui l’unica cosa rilevante è stata l’economia, oggi la sfida torna ad essere, come in passato, politica, culturale e umana." scrivono in una lettera i sindaci e i governatori italiani alla stampa tedesca.
In realtà la storia c'è sempre stata - forse non se ne erano accorti - ed era quella delle piccole cose, degli sconosciuti, di tutti noi che quotidianamente ci siamo sporcati le mani, che siamo morti. Come ci guardano oggi i popoli che con spocchiosa superiorità abbiamo sfruttato e affamato? E la loro storia? Ah, no, giusto. Stiamo parlando dell'Occidente, ecco perché ora siamo preoccupati. Di un'altra cosa sembra che fossero ignari, e cioè che l'economia non è "l'unica cosa rilevante". Ma davvero?
E' certamente una bella lettera quella dei nostri sindaci e dei nostri governatori, che soprattutto ricorda ai tedeschi le loro responsabilità. Ma anche qui, chi scrive la storia deve fare delle distinzioni: non tutti i tedeschi furono responsabili del nazismo e delle sue aberrazioni. C'è anche la loro storia. Queste argomentazioni riaprono vecchie questioni, e utilizzano un'idea della storia romantica e parziale. Speriamo che una mente con più fantasia e creatività riesca a estrarre un nuovo racconto dal muto tassello di una scacchiera.