domenica 29 marzo 2020

Ventesimo giorno

Non so ben dire di cosa stia veramente parlando, come non ho idee su questo virus che indossa una corona e che toglie il respiro. In questo mio pellegrinaggio giornaliero senza meta, in cui lascio orme della consistenza di pixel, su un foglio virtuale che forse neppure esiste, semplicemente mi imbatto in immagini e idee che tracciano percorsi inaspettati.
La "memoria nascosta" di cui scrivevo ieri mi ha condotta alle Città invisibili di Calvino. Le sottolineature si interrompono a pagina 54. E' lì che ho smesso di leggere. Mi capita quando un libro non mi piace o quando non lo capisco proprio. Forse per il tipo "lettore modello" questo modo di procedere è biasimevole. Ma io non sono una lettrice modello e neppure voglio esserlo. I libri sono come persone e, detto in tutta franchezza, non con tutti quelli che conosco vorrei intrattenermi a conversare, né loro con me. Tornando alla pagina 54, in questo caso, ho sospeso la lettura perché non ero nella condizione di accogliere il particolare punto di vista che Calvino suggerisce di assumere. Ora, credo vi sia la condizione. Eccome se c'è.
Il libro è un racconto del viaggio di Marco Polo attraverso le città dell'impero tartaro di Kublai Kan. Scorrendo l'indice, si può osservare che i racconti, numerati, sono organizzati in nove gruppi. Il primo e l'ultimo ne contengono dieci, mentre gli altri intermedi hanno ciascuno cinque racconti. A una rapida vista, sembra solo un indice, anche un po' confuso in realtà. Ma le città-titolo, si susseguono secondo uno schema ben preciso che forma una sorta di disegno: due torri laterali e una parte centrale che sembra una muraglia. Aprono e chiudono ciascun gruppo dei pilastri, spazi in cui avviene il confronto tra Marco Polo e Kublai Kan. La stessa organizzazione del libro somiglia a una città.
Il sovrano ascolta i resoconti dettagliati dei suoi messi ed esploratori, ma è attratto dai racconti dello straniero: "Solo nei resoconti di Marco Polo, Kublai Kan riusciva a discernere, attraverso le muraglie e le torri destinate a crollare, la filigrana d'un disegno così sottile da sfuggire al morso delle termiti".
Marco Polo narra le città attraverso gli oggetti che mostra di volta in volta all'imperatore, mettendo in scena una sorta di pantomima. Ma con il procedere del racconto, Kublai Kan inizia a dubitare che il giovane veneziano abbia davvero visitato quelle città e gli dice: "Non so quando hai avuto il tempo di visitare tutti i paesi che mi descrivi. A me sembra che tu non ti sia mai mosso da questo giardino". E Polo: "Forse questo giardino esiste solo all'ombra delle nostre palpebre abbassate. [...] Forse del mondo è rimasto un terreno vago ricoperto di immondezzai, e il giardino pensile della reggia del Gran Kan. Sono le nostre palpebre che li separano, ma non si sa quale è dentro e quale è fuori".
Il racconto è il viaggio. L'unico possibile oggi.