sabato 14 marzo 2020

Quinto giorno

La tecnologia - guai se non ci fosse proprio ora che siamo isolati in casa! - è una via di fuga. Ma in questi giorni è impossibile non rimanere impigliati nella ragnatela di notizie, commenti e messaggi che rimbalzano nell'etere e tessono una fitta trama. A volte manca il respiro. Come se l'aria, più leggera per le strade senza traffico, fosse appesantita da una coltre di narrazioni.
Spegnere tutto. Sì, ma così ti estranei ancora di più. Fuggire. Sì, ma dove?
Boccaccio. Oggi mi è venuto in mente Boccaccio e il suo Decameron. Scorro con lo sguardo lungo gli scaffali della libreria ed eccolo lì, tra le edizioni Garzanti. Afferro il primo dei due volumi e rileggo il Proemio e l'Introduzione, sdraiata nel letto e con le lancette dell'orologio che hanno rallentato la loro corsa, di solito concitata.
A scuola - ah la scuola! - si parla sempre della solita "cornice" del Decameron, come se un grande scrittore si limitasse a giustapporre i pezzi di un'idea, senza che essi si compenetrino e formino un unico organismo. Del resto, la nostra è l'epoca degli specialisti (chiedo scusa in anticipo ai medici che in questo momento sono i soldati al fronte), perciò il cardiologo non è tenuto a sapere cosa capita al mignolo del piede sinistro; come se il nostro corpo fosse stato assemblato come un manichino. 
Dicevo, la "cornice" del Decameron è in realtà un'allegoria che forse potrebbe tornare utile, non per sconfiggere il famigerato Covid-19, ma per sperimentare nuove possibilità.
Boccaccio nell'Introduzione racconta della peste diffusasi a Firenze nel 1348: la "dolorosa ricordazione della pestifera mortalità trapassata". Riconosce che questo è davvero un "orrido comenciamento", un inizio in effetti apparentemente inappropriato a una narrazione che voglia portare conforto. Quel fatto di cronaca che lo scrittore racconta con dovizia di particolari, restituisce l'immagine di una città sconfitta dal contagio per un morbo che si trasmette - guarda un po' - con i contatti ravvicinati e che sembra sopravvivere sugli oggetti. Fin qui nulla di nuovo. Ma ecco sopraggiungere la svolta. La vicenda si sposta all'interno della chiesa di Santa Maria Novella. Lì sette donne confabulano. Vogliono allontanarsi da Firenze per mettere in salvo le loro vite. Praticamente un isolamento volontario. Lo faranno inseme a tre uomini che nel frattempo sono entrati anche loro nella chiesa.
Gli amici si spostano in campagna in cui, su proposta di Pampinea, decidono di trascorrere le giornate raccontando ciascuno una novella. 
Boccaccio suggerisce un luogo in cui ritirarsi, da una realtà in cui momentaneamente sembra impossibile vivere; un locus amoenus dove immaginazione e narrazione aiuteranno il ritorno alla normalità.