lunedì 23 marzo 2020

Quattordicesimo giorno

Il 23 marzo 2019 moriva la persona più mite che io abbia mai conosciuto e allora abbiamo piantato in giardino un alberello di ulivo. Volevo che la mattina, guardando dalla finestra della cucina, ci ricordassimo di lei, ogni giorno. Volevo però che il ricordo fosse legato a qualche cosa di vivo, destinato a crescere e a simboleggiare la forza e la saggezza.
In verità non ho speso molto tempo con lei e per me è stato sempre difficile raggiungerla nel luogo in cui la sua mente viveva per gran parte della giornata. Solo di rado ci regalava la sua attenzione. Il mondo, così come le si era mostrato, non era abbastanza forte da trattenerla e da strapparla a quell'altro mondo fatto di visioni e sogni che la tenevano occupata.
Penso più a lei adesso che quando era in vita, e non per tacitare la mia coscienza. Ma forse ora per comprenderla non devo scardinare nessuna porta, non devo rompere le barriere dei gesti, degli sguardi, delle parole e dei lunghi silenzi. Devo semplicemente distanziarmi dalle cose, come faceva lei.
Ha smesso di camminare, poi sdraiata nel letto il suo corpo pian piano è scivolato nel sopore appena interrotto da brevi risvegli. Gli occhi erano rimasti i soli a muoversi, fino a quando anche loro si sono ritirati dietro le palpebre e un sonno imperturbabile è sopraggiunto. Non c'era nulla che si potesse fare. Non c'era nessuna spiegazione medica che indicasse la causa o le cause di quello stato, varie e vaghe erano le ipotesi. Il punto è che la medicina di fronte all'impossibilità di fornire risposte precise, non può fare altro che dare assistenza fino a quando è la vita stessa a fuggire via.
Ha vissuto in silenzio e così se n'è andata. Ma quel silenzio e quella mitezza, quel disinteresse per le cose che aveva mostrato nell'età avanzata, in realtà mi facevano pensare a una grande tenacia, al piegarsi senza spezzarsi. Proprio come l'ulivo di casa mia.